
Te Deum, Reggiori: Per Patrizia e i miei sette figli
Come ormai tradizione, Tempi chiude l’anno con un numero monografico di Te Deum. Qui pubblichiamo quello del chirurgo Alberto Reggiori, che appare sul numero 52 della nostra rivista, in edicola dal 29 dicembre.
Dio ti ringraziamo. Ma perché? Per cosa il mio cuore desidera ringraziarti? Per tanto, per tutto. Ma soprattutto per quella condizione poco clamorosa che mi ha accompagnato quest’anno, per quel sentimento sottile ma tenace e robusto, per quello stato d’animo presente come sottofondo ma al tempo stesso molto evidente che è la letizia. Non è la gioia esuberante che passa facilmente o l’esaltazione di un momento. La letizia è come la luce dell’alba che non è ancora diventata giorno, ma rischiara tutto e restituisce le sue sembianze a ogni cosa.
La letizia che ho sperimentato quest’anno è un tuo dono, figlia della vita che avanza, dell’opera che cresce, della consapevolezza – ancora tanto povera – della tua Presenza accanto a me, anzi a noi. È dalla terra (come diceva Mounier), dalla solidità concreta delle cose e soprattutto delle persone che deriva questa sorella della speranza: camminano sempre insieme la letizia e la speranza. Le vedo nel fondo degli occhi di mia moglie Patrizia, nei suoi gesti, nella sua disponibilità infaticabile e mai costretta ma sempre libera, anche quando il cammino è faticoso e in salita. Nel suo spendersi impegnato e attento in tutti gli aspetti della vita, sempre tesa all’ideale, senza compromessi, mai tranquilla, ma cosciente che la grande regola della vita è il dono di sé. Non si intorpidisce mai il suo cuore e contagia positivamente il mio. La letizia sgorga dalla coscienza stupita e grata che questa persona abbia accettato di starmi per sempre al fianco: posso guardarla negli occhi, senza dire niente, senza imbarazzo, ma dicendole tutto.
Ho visto la letizia sul volto dei nostri sette figli, su quello di Giacomo e di sua moglie Maddy quando sostengono e abbracciano la loro meravigliosa Caterina, anche dopo una notte senza sonno; su quello di Giovanna dal cuore mai tranquillo ma generoso e potentemente attratto dalla tua amicizia. L’ho vista nelle parole e nei movimenti faticosi di Giulio, che a quattro anni dall’incidente che gli ha quasi fermato la vita, la sta scoprendo di nuovo e continua il suo cammino infaticabile verso la guarigione. Nella sua serena tenacia, nella sua fedeltà ai gesti quotidiani, per me spesso scontati, ma per lui sempre nuovi e pieni di significato. In tutto quello che fa, nelle lunghe sedute di fisioterapia, nelle lezioni scolastiche, nella ricerca e nell’entusiasmo dell’amicizia, nella risata chiassosa e spontanea, nell’attenzione e nel rispetto incredibile che dimostra verso tutti, nella curiosità e nello stupore, nel miracolo di ogni nuova capacità riconquistata; c’è sempre un’attesa, una domanda di pienezza che produce passi sempre più sicuri e infaticabili.
La letizia mi ha sorriso nella discrezione solida di Gloria che sta conoscendo la vita imparando il mestiere di infermiera; nell’entusiasmo di Giorgio quando comunichiamo con lui che vive a Washington e ci racconta delle partite di baseball e degli amici con cui cammina; nella purezza dello sguardo spalancato di Gaia e nella curiosità infantile e sincera di Guido. La letizia mi ha sorpreso anche quando meno me l’aspettavo, quando nel cuore della notte sono chiamato con urgenza in ospedale e l’unica cosa che desidero è continuare a dormire, ma alla fine mi ha sempre preso per mano e mi ha condotto là. Nelle lunghe giornate spese in sala operatoria e tra i letti dei malati, cercando di essere al loro fianco, di condividere questo tortuoso viaggio chiamato vita. Nella penombra muta dell’alba, scrutando l’aspetto del cielo per capire il giorno che viene, attendendo la prima Messa del mattino con il cuore assonnato ma già carico di attesa.
La letizia la testimoniano senza limiti gli amici incontrati e scelti su questa strada che è la sua Chiesa, nella forma particolare e mai abbastanza apprezzata che è Comunione e Liberazione: una compagnia sorprendente e fedele anche nella mia tremolante adesione. Ogni gesto acquista senso, nulla è inutile, anche gli amici che hanno subìto la perdita di un figlio ti mostrano tra le lacrime un lampo di solida letizia. La letizia è il contrario della sicurezza muscolosa e stoica dell’uomo che deve essere capace, come documenta la poesia Se di Kipling: «Se mantieni la calma quando tutti la perdono, se riesci a costringere cuore, tendini e nervi a servire il tuo scopo quando sono da tempo sfiniti, e a tenere duro quando in te non resta altro che la volontà che dice loro tieni duro, (…) se tutti contano per te ma nessuno troppo (…) allora tua è la terra e tutto ciò che è in essa, e quel che è di più, sei un uomo, figlio mio!».
Ecco, la letizia è tuo dono, certezza del tuo sguardo su di noi e del tuo passo davanti al nostro. Non siamo soli e possiamo anche permetterci di essere deboli e bisognosi.
Per questo Te Deum laudamus.
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