Se il tecnico Draghi vuole sopravvivere alla politica deve fare anche il politico

Di Piero Vietti
23 Febbraio 2022
Le difficoltà del premier, indebolito dalla corsa al Quirinale, alle prese con partiti di maggioranza che iniziano a sentire l'odore delle elezioni e il saggio consiglio di Natalino Irti
Mario Draghi e Sergio Mattarella
Il premier Mario Draghi con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante la cerimonia di giuramento del nuovo presidente del Consiglio di Stato, Franco Frattini (foto Ansa)

Da dominus della politica italiana a tecnico in difficoltà nel giro di pochi mesi. La fallita corsa al Quirinale è stato uno spartiacque decisivo, e sembra avere colpito Mario Draghi più di quanto si potesse immaginare (anche se in pochi, già mentre lo dicevano, pensavano davvero che la rielezione di Sergio Mattarella al Colle avrebbe rafforzato l’esecutivo dell’ex presidente della Bce).

I partiti fanno i partiti

I partiti della maggioranza hanno ricominciato a fare i partiti: meno compatti dello scorso anno, fiutano la momentanea debolezza del premier e soprattutto i pochi mesi che mancano alle elezioni. Smarcarsi dagli alleati di governo in vista del voto è comprensibile, soprattutto per la Lega, che ad esempio sul contrasto alla pandemia ha votato a favore di molte misure che a parole contestava.

La narrazione del momento politico, però, pare non considerare che la luna di miele che nell’ultimo anno ha tenuto in piedi il governo tecnico dovrebbe essere un’eccezione. Invece qualunque dissenso o voto contrario a quello degli altri (anche in commissione, come nel caso della proposta leghista di fare decadere il super Green Pass con la fine dello stato di emergenza, il 31 marzo) sui media diventa “blitz”, “assedio”, come se i sussulti normali della politica fossero una guerra allo status quo.

Un Draghi scocciato

Nei retroscena trapela un Mario Draghi scocciato, che minaccia dimissioni, che cerca comprensibilmente di fare valere il suo ruolo di salvatore della baracca. Oggi la Stampa racconta di un premier preoccupato dal calo di consenso nei sondaggi e intenzionato a rendersi più “empatico”. Al di là di improbabili operazioni simpatia, però, e delle dichiarazioni di sostegno arrivate in queste ore da parte dei parlamentari, il suggerimento migliore a Draghi lo ha dato Natalino Irti sul Sole 24 Ore domenica.

«Ma che cos’è mai questa politica, da cui tutti, o quasi tutti, vogliono tenersi discosti? E così considerata malsana e corruttrice, che un’orgogliosa dichiarazione del presidente del Consiglio dei ministri (l’umano orgoglio di quanti scelgono e costruiscono la loro strada) è stata piegata o interpretata a rifiuto della politica stessa?».

La politica è «urto con altre forze», ha scritto il giurista. «In un conflitto che ha per giudice soltanto il corso storico. La pudica formula del “tecnico prestato alla politica” nasconde la semplice verità, che il tecnico, cioè l’individuo provvisto di una speciale competenza, si è fatto “politico” al pari di ogni militante di partito, e, anch’egli, ha compiuto la scelta di un “verso dove”, prendendo posizione nelle relazioni interne fra le classi sociali e nelle estere fra gli Stati. Il tecnico, che mette la propria competenza al servizio del governo (democratico o liberale o autoritario), ne condivide per ciò stesso l’indirizzo, fa proprî gli scopi perseguiti, ne accetta i risultati siano favorevoli o sfavorevoli».

Il destino di Mario Draghi

Non si può maneggiare la politica senza fare politica, il “tecnico puro” non esiste, la solitudine del presidente del Consiglio è impossibile. «Fuori dalla politica, intesa come vincolo di destino, nessuno può uscire, neppure “andandosene” e abitando i rifugî remoti dal mondo, poiché anche tale estraniarsi e allontanarsi sarebbe un gesto politico, ossia una presa di posizione nei confronti dei consociati». Irritarsi e minacciare di andarsene non sono le reazioni adeguate a un momento in cui (verrebbe da dire finalmente) le forze politiche hanno ricominciato a dare segnali di vita.

«Quando la storia d’un paese offre l’immagine del caos, e come un informe agitarsi di gruppi e generazioni, allora, se non si decida di scendere in campo e correre il rischio del conflitto, rimane soltanto l’attesa del corso storico». Più che costruirsi un’immagine di empatia, Mario Draghi dovrebbe accogliere il suo destino: è capo di un governo, ha il dovere costituzionale di garantire “l’unità di indirizzo politico”, cominci a fare politica.

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