Telecompromesso?

Di Oscar Giannino
26 Aprile 2007
Nella partita per il controllo di Olimpia il governo interferisce ma non decide. Sono le banche ad avere l'ultima parola. Anche sulla durata della mutazione bipartisan di Berlusconi

Sono giorni decisivi nella travagliata vicenda Telecom. E naturalmente bisogna star cauti a esprimere vaticinii, poiché nei mesi non sono mancati i colpi di scena. Tra i protagonisti c’è chi ha pensato di poter chiudere la vendita, chi invece ha provato a tutti i costi a impedirla finché il compratore non fosse stato quello giudicato più a sé vicino. Bisogna rendere atto sia a Marco Tronchetti Provera sia a Romano Prodi di essere riusciti ciascuno nella sua parte d’impresa, senza risparmiarsi colpi. L’uno non si è fermato quando, ancor prima del piano Rovati, le indiscrezioni e il doppio gioco di un banchiere ex Goldman Sachs hanno fatto saltare la trattativa con Murdoch. L’altro è rimasto tutto d’un pezzo quando la stampa confindustriale è insorta contro il piano Rovati, solidarizzando con Tronchetti. Il primo ha rimesso sul tavolo l’opzione Telefonica pensando bene di girarla a Guido Rossi, ma non è arretrato di un millimetro quando lo stesso Rossi l’ha fatta saltare in accordo con Palazzo Chigi (facendo finta di non avere neanche nel cassetto il relativo dossier quando gli amministratori indipendenti della società gliel’hanno chiesto). Poi Prodi si è mostrato ancora ostile quando Tronchetti ha rilanciato per la terza volta con gli americani di AT&T e i messicani di America Movil, con Tronchetti pronto nuovamente a incassare la rafforzata solidarietà del fronte imprenditoriale quando il governo ha allontanato gli americani chiedendo all’Autorità delle comunicazioni di separare la rete fissa dalla società telefonica. Sullo sfondo, la lotta sorda tra Mediobanca e Intesa, la prima volta a eternare se stessa attraverso la scissione societaria in Pirelli (non certo una limpida operazione di mercato), la seconda più dichiaratamente pronta sin dall’inizio a organizzare la cessione delle quote Pirelli in Olimpia, a un prezzo che i successivi rilanci hanno poi rivelato non essere così campato in aria.
E, alla fine, ecco la sorpresona. Tra la polvere delle scariche di fucileria dai diversi fronti in lotta per la povera Telecom, ecco profilarsi un fantasma mediatico, che col passar del tempo diventa prima un’ipotesi finanziaria e societaria vera, poi persino una nuova cornice di convergenze politiche, ben al di là e al di sopra della pura (ma importantissima) battaglia per assicurarsi il controllo di una delle maggiori società quotate italiane. Parliamo, naturalmente, della sorpresa-Berlusconi. Chi immaginava che l’ipotesi fosse una pura boutade prodotta della fantasia dei più scatenati tra i dietrologi che compilano le cronache finanziarie si è dovuto ricredere. Perché Berlusconi ha deciso di esprimere la propria disponibilità e le proprie condizioni affinché essa possa essere accolta e tradursi in progetto concreto. Sulle condizioni molto si è scritto. Mi limito qui a fare una precisazione che resta valida anche nel caso in cui, nei giorni precedenti all’uscita di Tempi, tale ipotesi sfumasse: la disponibilità del Cavaliere a partecipare come socio in una cordata “italiana” senza arrogarsi il diritto di comandare in Telecom rappresenta una vera e propria rottura rispetto al Berlusconi imprenditore che conosciamo. Prima d’ora non era mai stato disposto a qualcosa del genere, e tutto sommato a ragione, anche se ciò ha comportato la sua permanente esclusione dal giro dei “salotti che contano”, come si suol dire. Ed è prima come battitore libero e tenace costruttore, poi come difensore di un grande gruppo televisivo “in proprio” che Berlusconi nei decenni ha mantenuto la forza di non esser mai coinvolto in alcuna delle grandi crisi finanziarie che hanno attraversato la vita dei maggiori gruppi di grande tradizione industriale italiana (ovviamente non è mancato chi spergiurava che in realtà l’impero berlusconiano fosse costruito su debiti e capitali di dubbia origine, ma il Cavaliere smentì tutti quotandolo in Borsa, cioè fino a prova contraria con una limpida operazione di mercato, appunto).

Sinergie industriali e legge elettorale
Cosa è cambiato al punto da convincere da una parte Berlusconi ad accettare di partecipare a una grande impresa senza comandarla, e dall’altra metà del centrosinistra italiano a non far proprio, di fronte a tale ipotesi, il non possumus della sinistra antagonista, girotondina e dipietrista? La risposta non sta in Telecom Italia, naturalmente, ma ha almeno tre ragioni concomitanti. Che tali resterebbero anche se, ripetiamo, l’operazione non andasse in porto. Una ragione è di ordine bancario. Per mesi, su Telecom a Prodi non è riuscita (non bene quanto gli sia riuscita nel recente passato su vicende di grande rilievo finanziario) la ventura di “usare” gli intenti e la capacità manovriera di San-Intesa per elaborare una soluzione “amica”. Non solo ciò va a merito di Corrado Passera, ma la dice lunga anche su un aspetto essenziale del confronto tra grandi istituti bancari in atto nel nostro paese. Nella partita a scacchi per assicurarsi la maggiore influenza possibile sulla parte del risiko bancario ancora non chiusa (quella che riguarda la galassia Mediobanca e Generali), San-Intesa, Unicredit e Capitalia hanno interessi propri troppo forti per accettare di obbedire alla politica dell’uno o dell’altro colore. Poi c’è una ragione di ordine industriale: anche un bambino capirebbe che Mediaset è l’unico grande gruppo italiano ad avere una gigantesca sinergia potenziale con il colosso telefonico nazionale, visto che la prima produce contenuti che alla rete della seconda servono come il pane, nell’offerta di servizi multimediali e convergenti che passerà sulla rete. E per Berlusconi non c’è bisogno di comandare in Telecom per avviare una sinergia di tal tipo. Quanto alla terza ragione, di ordine politico, il Berlusconi imprenditore “rotondo” e non più “puntuto” corrisponde al politico aperturista ed equilibrato, che abbiamo visto partecipare ai congressi in cui Ds e Margherita hanno dato il via al Partito democratico. Berlusconi preferisce prendere sul serio, anziché minimizzare, lo spostamento del centrosinistra verso il fronte moderato, perché vi intravede la possibilità di un accordo sulla legge elettorale modellato più sulle ragioni delle formazioni maggiori dei due poli che non su quelle dei partiti minori che sin qui hanno dominato il dibattito. Se il Cavaliere verrà deluso e respinto, non sarebbe un peccato solo per la possibile sinergia tra Mediaset e Telecom, che le renderebbe entrambe più forti sulla scena internazionale, dove oggi non giganteggiano. Sarebbe un peccato anche per la politica. Ma chissà. Sono le banche, questa volta, ad avere l’ultima parola. Non Prodi.

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