Terracciano: «Fiat, il progetto Fabbrica Italia rispetta i tempi»

Di Chiara Sirianni
24 Ottobre 2011
Giuseppe Terracciano, segretario generale Fim-Cisl a Napoli, spiega a Tempi.it a che punto è nelle fabbriche la "rivoluzione" di Marchionne: «Pomigliano era uno stabilimento chiuso. Grazie all’accordo che la Fiom non ha siglato, è in fase di rilancio. Il progetto procede nei tempi concordati: entro dicembre 2011 entreranno in fabbrica 900 lavoratori per realizzare 2500 Panda»

Il 22 ottobre la Fiom si è presa Piazza del Popolo: un corteo pacifico, nel giorno dello sciopero nazionale di Fiat e Fincantieri. Tra gli striscioni dei metalmeccanici, giunti da tutta Italia, spiccava quello dedicato a Sergio Marchionne: raffigurava l’ad Fiat con la pistola alla mano (“agguato agli operai, mani in alto: o diritti o lavoro”). Giuseppe Terracciano, segretario generale Fim-Cisl Napoli, ha descritto a Tempi.it l’aria che si respira in fabbrica, a partire dallo stabilimento di Pomigliano che fece da sede al referendum di giugno.

È un autunno caldo, quello che ci attende?
Fare sindacato in una grande azienda come la Fiat significa essere costantemente sotto osservazione, della politica e dell’opinione pubblica. La tentazione di ricercare consenso è molto forte e la Fiom non ha l’autonomia necessaria per resistervi. Riesce difficile pensare che le decisioni della Fiom siano dettate dal voler tutelare i lavoratori: è più probabile che vogliano rappresentare un riferimento politico, oggi assente dal Parlamento. Certo, ci sono vertenze aperte che mettono a rischio posti di lavoro o che richiedono ristrutturazioni dolorose in termini di cassa integrazione e licenziamenti. Il vero problema è che molti lavoratori rimarranno delusi, perché non avranno le risposte che cercano.

«Fabbrica Italia è ormai un progetto fantasma: gli investimenti non fatti, le progettazioni spostate in America, l’addio a Confindustria per tenersi liberi di licenziare». Così il segretario della Fiom Maurizio Landini. È d’accordo?
Pomigliano era uno stabilimento chiuso. Ora, grazie all’accordo che la Fiom non ha siglato, è in piena fase di rilancio: gli ex dipendenti Fiat diventeranno dipendenti di Fabbrica Italia Pomigliano. Anche Mirafiori seguirà la stessa sorte, e sarà complessivamente rafforzata la presenza di Fiat in Italia in termini di produzione e di investimenti. Non è con gli scioperi che si difende il lavoro, ma con gli accordi, e la Fiom non ne firma. Noi sciopereremmo se la Fiat e gli altri imprenditori non facessero accordi con il sindacato.

Alla luce dell’uscita di Marchionne da Confindustria, l’accordo di Pomigliano non sarebbe stato meglio non firmarlo?
In fabbrica si respira in genere un’aria di soddisfazione, dal momento che si è chiuso il periodo della cassa integrazione e si riapre quello del lavoro e della certezza di reddito. Non c’è spazio per un ripensamento. Certo è difficile convincere quelli che scelgono la Fiom, i Cobas e la sinistra radicale per ideologia.

Al referendum sul futuro di Pomigliano, il 22 giugno 2010, hanno vinto con i sì il 63,4%, con una partecipazione altissima. Ora a che punto è il progetto Fabbrica Italia? Quanto hanno lavorato i dipendenti? Quanti sono in cassa integrazione?
Il progetto procede nei tempi concordati: entro dicembre 2011 entreranno in fabbrica circa 900 lavoratori per realizzare 2500 Panda. Nel 2012, con l’incremento delle richieste, sarà la volta di altri lavoratori. I cassaintegrati complessivamente sono circa 4750, inclusi quelli della ex Ergom. Gli investimenti previsti sono stati fatti: una parte del personale è già al lavoro, e sono stati costruiti e presentati al salone di Francoforte i primi prototipi. A febbraio inizierà la produzione con le regole concordate: turnazioni, straordinari etc.

«Il governo è stato complice» ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, intervenendo alla manifestazione: «Hanno parlato di Marchionne come di un grande innovatore, ma ha chiuso tre stabilimenti e non ha trovato una soluzione per gli altri».
Sono d’accordo sul fatto che il governo poteva fare di più. Che Marchionne debba confrontarsi nel mondo è un dato di fatto, certo si è chiuso a  riccio, e questo lo dobbiamo probabilmente all’atteggiamento antagonista della Fiom. Personalmente non credo che all’ad della Fiat interessasse la norma contenuta nell’art. 8 della manovra, penso che le sue preoccupazioni fossero relative all’esigibilità e alla retroattività, come previste nell’intesa confederale del 28 giugno e del 21 settembre. Se la Fiom avesse firmato l’accordo Fiat, avremmo portato a casa più risultati. Non operiamo più in un mercato domestico, protetto dall’intervento straordinario dello Stato. Oggi serve coraggio, e i sindacati firmatari dell’accordo di giugno 2010 hanno deciso di reagire. Altri, arroccandosi su posizioni di retroguardia, avrebbero preferito la chiusura delle fabbriche.

Che situazione sta vivendo la Campania, dal punto di vista industriale?
La globalizzazione è alla base delle crisi industriali che stiamo attraversando, dalla cantieristica all’aeronautica, ai trasporti e in generale all’intero apparato industriale campano. Ma siamo sicuri che l’esempio della Fiat farà da apripista ad altri investimenti che decideranno di accettare la sfida della competizione internazionale.

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