
Terrorismo, il nuovo “pericolo rosso”
Lentamente, ma con determinazione, l’amministrazione Bush sta preparando gli americani a cambiamenti importanti tanto in politica estera quanto in politica interna. Proprio come la paura del comunismo ha segnato la vita americana dalla seconda guerra mondiale fino al 1989, la “guerra al terrorismo” sta diventando il parametro di controllo di una nuova Guerra non-così-fredda. La creazione di un nuovo Dipartimento federale “per la sicurezza interna” è l’analogo dei cambiamenti di struttura del governo federale decisi ai tempi della guerra e poi del dopoguerra per fronteggiare la nuova situazione. La creazione di questo nuovo Dipartimento costerà molti milioni di dollari in più di quelli richiesti inizialmente dall’Amministrazione. I repubblicani più conservatori, che credono fermamente nella riduzione del ruolo del Governo federale, sono decisamente infastiditi dal cambio d’indirizzo del Presidente. Al contrario, i “repubblicani delle corporations”, cioè i leader e i sostenitori di quelle grandi corporation che certamente si gioveranno di una nuova fonte di contratti governativi, appoggiano con forza George W. Bush. Anche i liberal del Partito Democratico approvano la scelta del Presidente ma sono insieme preoccupati per quello che ritengono un “furto” di un’idea propriamente democratica. Ad ogni modo, a Bush il progetto porterà un vantaggio politico perché impegnerà il Congresso fino alle elezioni del prossimo inverno. Nello stesso tempo, il Presidente ha già dichiarato pubblicamente il cambiamento radicale della strategia militare americana, con l’adozione della politica dei “primi a colpire” contro quei paesi che si ritiene possano preparare attacchi terroristici ai danni degli Usa, come l’Iraq. Per garantire il sostegno dell’opinione pubblica per una strategia che finirà senza dubbio col richiedere alcuni sacrifici e alcune limitazioni della libertà personale, il Presidente coglie ogni occasione per definire la situazione attuale come una “battaglia cosmica” in difesa della libertà. Sarà perciò in nome della libertà umana, e non soltanto della sicurezza nazionale, che si combatterà questa guerra. «La libertà ha bisogno dell’America», ha detto Bush lunedì scorso nel suo discorso al Partito Repubblicano. Non sono gli americani a desiderare, ad amare e ad aver bisogno della libertà, ma è la libertà stessa ad aver bisogno dell’America (ma al termine “libertà” manca una definizione precisa e ad ogni generazione di americani spetta dire cosa essa rappresenti. Per questa amministrazione sembra che la libertà coincida con democrazia, libero mercato, opportunità individuali e un governo centrale limitato). Si tratta di un cambiamento d’enorme portata per chi inizialmente reputava la politica estera “morale” di Bill Clinton come pericolosamente aleatoria e priva di regole.
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