Tony Nicklinson è morto, la sua famiglia continuerà a combattere per l’eutanasia in Inghilterra

Di Leone Grotti
06 Gennaio 2013
Tony Nicklinson si è lasciato morire l'anno scorso dopo che la Corte suprema gli aveva rifiutato l'eutanasia. Ora la famiglia ricorrerà in appello contro la Corte per continuare «la sua battaglia».

La Corte d’Appello inglese ha dato il permesso alla famiglia di Tony Nicklinson di ricorrere in appello contro la decisione della Corte suprema, che il 16 agosto dello scorso anno aveva rifiutato la richiesta di eutanasia dell’uomo che soffriva della sindrome di Locked-in. Tony si è poi lasciato andare rifiutando il cibo ed è morto di polmonite il 22 agosto, ma la famiglia continuerà «a combattere per lui, in sua difesa».

LA STORIA DI TONY. Tony Nicklinson, ingegnere che viveva nella cittadina di Melksham, nell’Inghilterra del sud, è stato colpito da un ictus nel 2005. A causa dei danni cerebrali subiti, i muscoli volontari del suo corpo sono rimasti paralizzati, rendendolo incapace di muoversi e di parlare ma lasciandolo cosciente. Nicklinson, nella sua condizione chiamata “sindrome locked-in”, poteva comunicare con l’esterno attraverso il movimento degli occhi e il battito delle palpebre, una condizione che descriveva come «vivere in un incubo».

LOTTA PER L’EUTANASIA. Per questo aveva chiesto fin dal 2010 di essere ucciso dalla moglie o da un medico, liberandoli da ogni responsabilità. Il 16 agosto 2012 la Corte suprema inglese ha respinto la sua richiesta, non potendo approvare un caso di eutanasia. Dopo la morte di Nicklinson, la sua famiglia ha promesso di continuare a battersi per lui. Giovedì ha ottenuto il permesso di ricorrere in appello contro la Corte suprema aprendo così un caso che potrebbe essere chiave nell’introduzione dell’eutanasia in Gran Bretagna. La moglie di Tony Nicklinson ha dichiarato di ricorrere in appello perché «questa battaglia fa parte dell’eredità di Tony. Noi combatteremo per lui, in sua difesa».

@LeoneGrotti

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8 commenti

  1. Edo da Torino

    Scusi sig. Sarti, ma la moglie non dovrebbe prendersi cura del marito malato invece che ucciderlo?

    1. Emanuele

      La moglie ha rispettato la decisione del marito a finire la propria vita

      1. Edo da Torino

        E perché Lei fa il tifo per la moglie?

        1. Emanuele

          Perché spero vivamente che il suo caso possa portare a legalizzare l’eutanasia

      2. Edo da Torino

        Quindi Lei non fermerebbe o salverebbe uno che si vuole suicidare? Ma non è una cosa disumana non aiutare e/o salvare una persona che si vuole uccidere?!

        1. Emanuele

          Assolutamente no, se l’eutanasia fosse legalizzata non ci sarebbero questi problemi. Il signore in questione ha deciso di lasciarsi morire perché, come lui stesso ha detto: “vivere in un incubo”. Le sembra invece più umano forzare una persona a vivere contro la propria volontà?

          1. Edo da Torino

            Scusi se insisto, ma se qualcuno che Lei ama, o a cui vuole molto bene, si sta per suicidare o Le chiede di ucciderlo, a Lei non viene naturale aiutarlo? In altre parole, per me voler bene ad una persona significa sì rispettare la sua volontà, ma entro certi limiti: non potrei mai permettere che un mio amico caro si suicidasse!

          2. Emanuele

            Non è che basti una richiesta qualsiasi, si sta parlando di una situazione dove un uomo è chiuso nel suo corpo con un qualità di vita pessima, non di una persona depressa ma che avrebbe tutte le possibilità della vita.
            Aiutare una persona vuol dire anche aiutarlo nel morire, si!

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