Giubileo a Mordor: il tracollo di Roma Capitale tra caos e benaltrismo amministrativo

Il traffico è paralizzato, la metro si allaga, i bus non passano. Ma Gualtieri propone monopattini, smartworking e decostruzione di genere all'asilo. Ritratto di un'amministrazione in cui la scollatura tra realtà e mondo favolistico-ideologico è totale

Lavori in corso in Piazza Venezia, a Roma, per il cantiere della Metro C (foto Ansa)

Dalla sommità turrita del Campidoglio, gettando frontalmente lo sguardo tra i Fori e alle spalle su Piazza Venezia si può scorgere il brulicante, e sempre più problematico, dipanarsi della vita quotidiana in quella che sarebbe, condizionale ormai d’obbligo, la Capitale d’Italia. Un tempo qui, a rimirare i cieli rossi del tramonto e i frati che intonavano i vespri serali si aggirava Goethe; oggi, segno dei tempi, c’è Gualtieri.

Roma è grande, ma il caos è ai piedi del Campidoglio

Sindaco di Roma, della Capitale, che sia detto senza alcun sarcasmo, suscita anche una certa simpatia, a meno che certo non siate dei pendolari in gelida attesa per decine di minuti su una banchina della metro, aspettando, modello sbarco in Normandia, di capire se riuscirete a salire sul vagone stracolmo o se anche questa volta dovrete arrivare a lavoro con un paio di ore di ritardo.

Simpatia, sì, perché verrebbe da dire che in una città enorme, planimetricamente estesa in orizzontale come una Regione, caotica, oscura persino, non sia facile, diciamo pure sia impossibile, giungere ovunque e vedere tutto, conoscere, figuriamoci risolvere, qualunque problema.

Per avere pieno controllo e altrettanto piena consapevolezza di periferie lontane, dimenticate, servirebbero come minimo una pietra veggente, un Palantir o l’occhio fiammeggiante di Sauron che possa scrutarle e riportare notizia al Campidoglio di cosa non vada.

E invece nelle ultime settimane, per sincronicità junghiana o forse solo per sfiga comunque propiziata dalla mole inaudita di caos e di problemi che la città si porta dietro, ai piedi di quel Campidoglio, proprio sotto gli occhi del vertice dell’amministrazione, è accaduto di tutto.

Piazza Venezia bloccata? «Andate a piedi»

Crollati al suolo alberi, investito mortalmente un pedone, paralisi completa del traffico con tanto di precipitoso vertice tra politica e organi tecnici per capire cosa fare di un cantiere che paralizza, non c’è enfasi ma solo presa d’atto in questo, l’intero centro storico, quella parte di Roma che è più Capitale della Capitale e attorno cui si aprono a raggiera organi costituzionali, amministrazioni pubbliche, autorità indipendenti, in una parola sola il potere. Un potere che si esercita forse allo slalom in monopattino. Così consigliavano giorni addietro dal Campidoglio, andate a piedi, o prendete la bici, perché c’è lo smog fuori controllo.

Ottimo consiglio, se si vogliono allevare campioni mondiali di ciclismo o di marcia lunga in luogo di impiegati, avvocati, commercialisti, insegnanti, operai, antennisti, studenti, commercianti. Ma voi ce lo vedete un pendolare che magari lavora a 15 chilometri da casa che ogni mattina, in giacca e cravatta, inforca fantozzianamente la bici e si mette a sfidare voragini, manto stradale dissestato, guida allegrotta altrui, camion e chi più ne ha più ne metta?

Metro allagata, bus che non passano, taxi introvabili

Eppure, il Comune, pardon Roma Capitale, dovrebbe sapere, visto che nel 2015 ha approvato e messo nero su bianco il Piano generale del traffico urbano, che la stragrande maggioranza dei cittadini raggiunge il centro dalle periferie. E le periferie, in una città estesa solo in orizzontale come questa, distano chilometri e chilometri.
Si dice: prendete i mezzi.

Brillante proposta, ma di quali mezzi stiamo parlando? Della metro dentro cui grondano torrenziali cascate d’acqua tanto da doverne decretare lo stop? La stessa metro che ha molti convogli a revisione e un parco mezzi complessivo che non riesce a far garantire una qualche regolarità nelle corse, con tempi di percorrenza geologici?

I bus, poi. Pochi, malmessi, strapieni e stracolmi, specie in questo periodo post-pandemico che ha conosciuto le discutibili gioie dell’over-tourism: gente che invecchia alle fermate o che scommette stile Febbre da Cavallo sui tempi di percorrenza rilanciati dalle paline elettroniche, ecco cosa producono i bus.

I taxi, parimenti inghiottiti dall’oscurità. È storia nota, vecchia, figlia di una politica piccina che non vuole mettersi contro medievali corporazioni. Con un servizio pubblico tracollato, i taxi sono divenuti degli oggettivi surrogati dei bus e della metro. Prima, appannaggio di uomini d’affari e turisti, oggi vengono, quando ci si riesce, presi anche dai semplici pendolari.

L’approccio ideologizzato al problema: usate monopattini!

Le giustificazioni possiamo trovarle tutte, per carità. Città enorme, che vede duplicate le proprie funzioni e le proprie incombenze nel nome della propria capitalità, complessa socialmente e densamente popolata, scarsi poteri, natura giuridica incerta, mancata attuazione del dato costituzionale. Cose non da poco, per carità e che trascendono la limitata sfera delle responsabilità “comunali”.

Ma, e qui cade l’asino, che a pensarci bene potrebbe pure tornare utile come mezzo di locomozione e quindi si badi a non farlo cadere troppo, l’amministrazione ci mette del suo, molto del suo.

Spesso un approccio ideologizzato, forse meno marcato di quello di Sala a Milano ma comunque assai presente, porta a ventilare ipotesi o politiche del tutto lunari, che il cittadino medio, alle prese con la giungla quotidiana, percepisce persino come prese in giro.

Della mobilità alternativa, monopattini, biciclette e piedi, si è detto. A piedi potranno giungere nel 2025 i pellegrini per il Giubileo, in un autentico, austero ritorno allo spirito medievale.

La decostruzione di genere alla scuola dell’infanzia

Ma quando in una città non funziona niente di niente e vedi che un Dipartimento che in pancia avrebbe fondamentali funzioni come educazione, lavoro e formazione professionale, se ne esce con una nota, come denunciato dall’onorevole Fabrizio Santori della Lega, in cui si indicano quali obiettivi di seminari la de-costruzione degli stereotipi di genere alla scuola dell’infanzia, indulgendo pure semanticamente in un afrore da costruttivismo woke; quando un cantiere a Piazza Venezia, la sfortunata martirizzata piazza che si stende ai piedi del Campidoglio, blocca la viabilità per chilometri e senti proporre come soluzione lo smart working dei dipendenti capitolini, ben sapendo che di dipendenti capitolini in quella zona non ne lavorano in quantità industriale visto che il grosso sta in Municipi e Dipartimenti che sono geograficamente decentrati rispetto il sommo Colle, ecco, diciamo che si inizia a sentire forte l’idea di una totale scollatura tra realtà problematica e mondo favolistico-ideologico in cui sembra essersi relegata l’amministrazione.

Il benaltrismo amministrativo di Gualtieri a Roma

Chiamo questa roba “benaltrismo amministrativo”. Io amministratore, da mandato popolare, dovrei affrontare determinati, pratici problemi, ma non avendo chance o proprio idea di come farlo, mi invento politiche ideologiche parlando di ben altro e facendo credere che sì, impieghi tre ore per percorrere dieci chilometri ma in fondo c’è il razzismo da combattere o la discriminazione di genere da divellere e queste sono cose assai più importanti.
Non lamentarti dei cantieri che ti imprigionano e che ti fanno arrivare a lavoro con sei ore di ritardo, perché stiamo adottando una bella ZTL per fare contenta Greta e salvare, con lei, il mondo.

La città è sempre più sporca, confusa, pervasa da flussi di traffico senza inizio né fine e da una sosta selvaggia che definire selvaggia è persino riduttivo, punteggiata di cantieri spesso estemporanei in altri casi eterni, che sembrano, e forse sono, privi di un qualunque coordinamento e che tra loro cospiranti hanno il potere di precluderti qualunque via di accesso. Altro che ZTL.

Alternative all’incubo trasporti a Roma? Nessuna

Prendere la macchina è un autentico incubo. Tempi di percorrenza che portano molti a ritenere più conveniente andare a lavorare a Firenze, impossibilità di parcheggio se non lasciando la vettura in quarta fila, bloccando i tram a cui per qualche arcano motivo la politica vuol fare guerra, giustamente una cosa funzionava e allora combattiamola, consumi di carburante da alimentazione di una pompa di benzina.

Alternative? Lo abbiamo visto: nessuna. A meno che alternativa non sia andare a lavorare a piedi, attraversando, modello The Road di McCarthy, quartieri e strade su cui i pedoni nemmeno possono transitare, schivando fetore e pericoli. La città, un tempo forse città, oggi conglomerato bituminoso e anarchico, sommatoria caotica di cemento e cantieri e traffico e inerzia, diventa una copia di Mordor, la fucina rugginosa, sporca, malvagia del Signore degli Anelli. Terra perduta, dove «cupa l’ombra scende».

Exit mobile version