Tutti quei vaffa li pagheremo cari

È il pubblico che paga il biglietto, l’attore è tra coloro che sul biglietto pagato campano. È poi molto diverso l’effetto scatenato dal fustigatore Beppe Grillo? Per alcuni versi, se ci pensate bene, non è affatto un paradosso. Capisco che molti tra voi, e sicuramente tutti i suoi dichiarati estimatori, siano pronti a replicare che Grillo non ha nessuna responsabilità sui costi della Casta come sull’inefficienza pubblica e talora privata che si diverte a sferzare coi suoi interventi al fulmicotone. Verissimo: degli sprechi e delle storture della macchina pubblica sono responsabili politici e amministratori, non certo i cittadini verberanti dei quali Grillo si fa Plauto e Masaniello. Ma il problema è che in una democrazia moderna e complessa non è solo dei costi diretti che bisogna tener conto. Ci sono anche quelli indiretti, determinati dall’interazione con l’opinione pubblica e più in generale con l’ambiente economico-giuridico che circonda i cosiddetti “decisori”, se vogliamo usare il famigerato termine schmittiano che tanto piaceva a Gianfranco Miglio.
Il problema numero uno della democrazia italiana, perlomeno a giudizio di chi scrive, è che via via che dalle difficoltà della Prima Repubblica si è passati alle incompiutezze e incoerenze della Seconda sono venuti a mancare sempre più dei veri “decisori” capaci di assumersi le responsabilità di scelte adeguate ai problemi e assunte in coerenza alle strette coordinate temporali imposte dalla competizione tra sistemi aperti su scala internazionale, per via della globalizzazione, e dalla particolare vischiosità di un sistema a elevato numero di attori muniti di poteri interdittivi, come è divenuta l’Italia. Un sistema di questo tipo è caratterizzato da un basso tasso di decisionalità pubblica, inversamente proporzionale – tra le altre cose – proprio alla conflittualità dello scontro tra i diversi attori.
Il problema diventa massimo quando la conflittualità, invece che tra i due contrapposti schieramenti del pur disomogeneo e tribale bipolarismo all’italiana, si determina tra il sistema in quanto tale e chi con crescente e massivo sostegno popolare lo contesta “da fuori”, per così dire. A tal punto che persino le decisioni che la maggioranza, tardi e male, assume nel nostro paese, in polemica frontale bipolarista con l’opposizione di turno, a quel punto vengono rinviate e sublimate. Perché si determinano inevitabilmente tre conseguenze ancor più volte al frazionamento e al veto interdittivo. La prima è che nel proprio stesso schieramento – come in quello dell’opposizione, di solito – uno o più interlocutori essenziali alla maggioranza ritengono numericamente e politicamente conveniente sposare le posizioni della contestazione antisistema, per accrescere il proprio ruolo di decisore marginale essenziale. La seconda è che l’opposizione pro tempore inevitabilmente o si avvantaggia direttamente della protesta diretta contro i più alti in grado pro tempore della Casta politica, o cerca comunque più che comprensibilmente di farlo: ed è inevitabile che chi stia al governo e in maggioranza difficilmente ami sfidare il doppio fronte avverso. La terza conseguenza, infine, è il limite di sempre dei moti di protesta: sono molte volte comprensibili, giustificabili e talora anche storicamente molto opportuni, per far saltare dei “tappi” ormai cristallizzati. Ma da loro non viene praticamente mai, nella storia, la risposta ai problemi. Ecco perché anche l’antipolitica del fustigatore comico ha un bel costo pubblico e sociale. Eccome se ce l’ha, anche se fa poco fine dirlo.

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