Tutti vogliono un posto al sole al Polo Nord

Di Leone Grotti
17 Marzo 2021
L’assottigliamento dei ghiacci ha fatto balzare l’Artico in cima alla lista degli interessi delle grandi potenze. Così Stati Uniti, Russia e Cina si contendono il controllo delle enormi risorse della regione. E della rotta navale che stravolgerà il commercio mondiale
Immagine notturna della rompighiaccio Usa Polar Star nello Stretto di Bering

Quando Robert Edwin Peary, esploratore americano che si autodichiarò il primo «conquistatore» del Polo Nord, piantò la bandiera a stelle e strisce sui ghiacci il 6 aprile 1909, da fedele ufficiale della Marina informò subito via cablo l’allora presidente americano, William Howard Taft, scrivendo: «Ho l’onore di mettere il Polo Nord a sua disposizione». La risposta non fu di quelle memorabili: «Grazie per la sua interessante e generosa offerta. Non so esattamente che cosa potrei farci». Oltre cent’anni dopo, le grandi potenze mondiali hanno molte idee in proposito, soprattutto da quando, per dirla con le parole dell’ex segretario della Marina degli Stati Uniti, Richard Spencer, «la dannata cosa si è sciolta». 

Il riferimento, ovviamente, è alla calotta polare, che nel settembre 2018 occupava ancora uno spazio semicontinentale: 4,7 milioni di chilometri quadrati, poco più della superficie dell’Unione Europea. Rispetto alla media stagionale, però, c’erano 1,7 milioni di chilometri quadrati di acqua in più. Secondo alcune stime, il ghiaccio dell’Artico dal 1958 ha perso la metà dello spessore. Oggi il 70 per cento è stagionale, si squaglia d’estate e si riforma, più fragile, d’inverno. I cambiamenti climatici hanno aperto opportunità energetiche, commerciali e geopolitiche impensabili fino a qualche decennio fa e non sono certo i 150 mila inuit (guai a chiamarli eschimesi), la principale popolazione indigena dell’Artico, a volerne approfittare ma tre grandi potenze mondiali: Russia, Stati Uniti e Cina.

Petrolio, gas e altro ancora

Che cosa si nasconda davvero sotto i ghiacci dell’Artico e nelle profondità dei suoi mari non lo sa ancora nessuno. Ma secondo le famose stime del 2008 dell’Usgs (United States Geological Survey), il 13 per cento di tutte le risorse petrolifere mondiali ancora sconosciute e il 30 per cento di quelle di gas naturale si trovano nella regione. Si parla all’incirca di 90 miliardi di barili di petrolio, 18 trilioni di metri cubi di gas naturale, 44 miliardi di barili di gas naturale liquefatto. Senza contare i giacimenti di uranio, terre rare, oro e diamanti. Ce n’è a sufficienza per capire perché nell’agosto del 2019 l’allora presidente americano Donald Trump chiese alla Danimarca di vendere agli Stati Uniti la Groenlandia. Molti pensarono che stesse scherzando e la premier danese, Mette Frederiksen, reagì piccata: «È assolutamente ridicolo». Il tycoon invece non scherzava affatto e se la prese sul personale per il rifiuto, tanto che cancellò la visita ufficiale nel paese prevista pochi giorni dopo, salvo poi approvare un pacchetto di aiuti per lo sviluppo economico dell’isola da 12 milioni di dollari. Per mantenere buoni rapporti in vista del futuro.

Ma un Artico sempre più blu e sempre meno bianco ha da offrire molto più che miliardi di barili di petrolio e gas naturale: una nuova rotta marittima in grado di stravolgere il commercio mondiale. Più dell’80 per cento delle merci commerciate nel mondo si spostano via nave, per un totale nel 2019 di 11,9 miliardi di tonnellate, ed è prevista una crescita del 3,1 per cento all’anno fino al 2026. Fino ad ora, le merci da Oriente e Occidente sono sempre transitate a sud, ma il progressivo scioglimento dell’Artico potrebbe aprire tre nuove vie: la Rotta del Mare del Nord (Nsr), il Passaggio nordoccidentale e la Rotta del Mare transpolare. Di queste, la prima è la più interessante, mentre l’ultima è ancora poco più che fantascienza.

Progressi inaspettati

Nel 2019 la Nsr – che collega Oceano Atlantico e Oceano Pacifico scorrendo lungo la costa artica russa dal Mar di Kara, lungo la Siberia, fino allo Stretto di Bering – è stata aperta al transito dalla fine di luglio all’inizio di novembre, per circa 14 settimane. Ne hanno approfittato 277 navi, per un totale di 37 transiti completi, e solo 6 di queste hanno avuto bisogno di una rompighiaccio che aprisse la strada. L’anno scorso, il numero di navi passate dall’Artico è aumentato a 331, per un totale di 62 transiti completi, quasi il doppio: l’ultimo è avvenuto il 9 dicembre. Quest’anno, per la prima volta nella storia, la petroliera Christophe de Margerie ha navigato in acque artiche a febbraio, scortata dalla rompighiaccio a propulsione nucleare russa Let Pobedy, mentre tornava in Russia dopo aver trasportato un carico di gas naturale liquefatto in Cina attraverso la Nsr a gennaio. Novatek, colosso della produzione di gas naturale in Russia, prevedendo un clima sempre più favorevole, ha progettato il primo viaggio sulla rotta quest’anno per aprile. 

Mappa della rotta del Mare del Nord
Rotta del Mare del Nord (clicca per ingrandire)

Nel giro di 20 anni, si credeva fino a pochi anni fa, i mesi di percorrenza della tratta sarebbero potuti salire a 6. L’obiettivo potrebbe già essere raggiunto quest’anno e i vantaggi sono tutto fuorché trascurabili. Nel 2018 la prima nave portacontainer ha tentato la traversata artica senza rompighiaccio: la Venta Maersk è partita dal porto di Busan, in Corea del Sud, ed è approdata a Bremerhaven in Germania risparmiando il 40 per cento del tempo rispetto al passaggio attraverso il Canale di Suez. Un viaggio simile dalla Cina al Nord Europa ha garantito un risparmio di tempo del 20 per cento, circa una settimana. Se si considera che il costo giornaliero di una portacontainer è di 70-80 mila dollari, che può arrivare anche a 100-120 mila dollari, risparmiare dieci giorni di viaggio significa ridurre i costi di circa un milione di dollari a tratta. Utilizzare la Nsr, rispetto al passaggio per il Canale di Suez, permetterebbe di risparmiare 7 giorni di viaggio sulla rotta Shanghai-Rotterdam, 12 su quella Yokohama-Rotterdam, 25 su quella Vancouver-Amburgo e 10 su quella Vancouver-Genova.

Il potenziale della tratta è enorme, ma non è tutto oro quel che luccica. Lungo la direttrice artica le navi devono viaggiare più lente, per essere in grado di virare per tempo e non fare la fine del Titanic, per effettuare la traversata in sicurezza le portacontainer devono essere di dimensioni ridotte e non per tutte le tratte è conveniente il passaggio a nord. Se poi, la tradizionale rotta che porta al Canale di Suez è piena di porti dove le navi possono fermarsi per ogni evenienza, la Nsr è ancora sguarnita di approdi sicuri. Infine, la via che collega l’Europa con lo Stretto di Bering passa lungo le coste russe ed è praticamente obbligatorio usufruire della scorta di una delle quattro navi rompighiaccio a propulsione nucleare della flotta di Vladimir Putin, che non viaggiano gratis. Se le potenzialità strategiche ed economiche sono dunque immense, è ancora presto per parlare di rivoluzione copernicana.

Il predominio russo

Ma le cose potrebbero cambiare in fretta ed è per questo che nessuna delle tre grandi potenze vuole restare indietro. Se la Russia è lo Stato artico per eccellenza («I nostri confini nelle acque artiche sono tracciati a ovest con la Norvegia e a est con gli Stati Uniti», sentenziava con non poca megalomania nel 2018 il senatore Sergej Kisljak) e gli Stati Uniti lo sono di diritto – insieme a Canada, Danimarca, Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia –, la Cina dista ben 3.000 chilometri dalla regione ma si è dichiarata “Stato quasi artico”. Gli americani hanno definito questa pretesa «assurda», ma Pechino è riuscita comunque a farsi ammettere come “membro osservatore permanente” del Consiglio artico. Questo forum internazionale, che fino a poco tempo fa si occupava quasi esclusivamente di orsi polari in via di estinzione, è ora diventato di capitale importanza, tanto che molti hanno proposto di farlo diventare un organismo internazionale.

Tutti sono convinti che l’Artico sia una terra di cooperazione e che eventuali future controversie territoriali ed economiche saranno risolte con il dialogo. Ma per non farsi trovare impreparate, le tre grandi potenze si armano. Putin ha dimostrato una vera passione per il Nord e dal 2014 ha aperto nella propria regione artica oltre 500 edifici riservati alle forze armate, rimettendo in funzione le installazioni abbandonate di epoca sovietica, dotando 35 importanti basi polari di nuovi armamenti, contraerea e droni. Ha anche ammodernato la flotta sottomarina, stanziata soprattutto nella penisola di Kola. La Russia inoltre, disponendo di 46 navi rompighiaccio contro le 4 americane e le 3 cinesi, ha senza dubbio il predominio dell’area.

Pechino, che ha incluso nel suo mastodontico progetto di costruzione di una Nuova via della seta anche una Via della seta polare, per non restare indietro punta sugli affari. E non esiste paese artico che Pechino non abbia tentato di attrarre a sé attraverso l’arma degli investimenti, a partire dai miliardi impiegati per l’estrazione di idrocarburi nella penisola Jamal con la Russia. Dopo aver cercato invano di comprarsi un pezzo di Islanda nel 2011, ha firmato due vantaggiosi accordi con Reykjavík, spalancando le porte della Cina al pesce islandese, e investito 1,2 miliardi nel paese in cinque anni. In Groenlandia solo l’opposizione americana prima e quella danese poi hanno impedito a Pechino di acquistare una vecchia base militare e di ricostruire diversi aeroporti sull’isola. Falliti questi tentativi, il Dragone ha poi virato su intese per sviluppare l’economia della Groenlandia. Era quasi fatta per la costruzione di un porto in Svezia, bloccato anche’esso dalla politica. 

Dragoni delle nevi

«Nessun paese artico può dire di no agli investimenti cinesi», dichiarava l’anno scorso un diplomatico finlandese, spiegando che nessun altro Stato è disposto a spendere grandi cifre per progetti poco profittevoli. Allo stesso modo, nessuno può impedire a Pechino di promuovere missioni “umanitarie” e “ambientali” nel Circolo artico: così, dagli anni Novanta, sono aumentate le traversate della rompighiaccio Dragone della neve (Xue Long), alla quale nel 2019 è stata affiancata la Dragone della neve 2. Al momento, la strategia di Xi Jinping prevede l’allineamento sulle posizioni di Mosca, bisognosa a sua volta dei fondi cinesi per mantenere il predominio della regione. Ma in futuro potrebbe osare di più.

Anche per questo il nuovo presidente americano, Joe Biden, non vuole restare a guardare ed è proprio nell’Artico che ha fatto le sue prime mosse militari degne di nota, schierando per la prima volta bombardieri B-1 in Norvegia e trasferendo duecento militari dalla Dyess Air Force in Texas alla base di Orland in Norvegia. C’è chi sostiene che Biden potrebbe addirittura riavvicinare gli Stati Uniti a Putin per frenare le mire della Cina nell’Artico. Per ora è fantapolitica e tutti gli attori sul campo hanno buon gioco a seguire, come stella polare, le famose parole dell’allora segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica, Mikhail Gorbaciov, che nel suo discorso di Murmansk, nel 1987, disse: «Lasciamo che il Nord del globo, l’Artico, diventi una zona di pace». Ma se il clima nell’Artico dovesse diventare rovente, e non per effetto del surriscaldamento globale, allora anche le alleanze potrebbero cambiare.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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