
Ue e coronavirus, il diavolo si nasconde nei dettagli. Il caso di scuola del Crii

Giovedì 23 aprile sarà un giorno decisivo per l’Unione Europea: si riunirà il Consiglio europeo con i capi di Stato e di governo che dovranno decidere come e con quante risorse finanziare la risposta economica comune all’epidemia di coronavirus. Se è probabile che all’indomani del vertice tutti canteranno vittoria, tanto i rigoristi olandesi e tedeschi quanto i paesi che spingono per un’Unione più solidale come Italia e Francia, secondo il Financial Times sarà fondamentale anche vedere in base a quali regole saranno allocate le risorse che i Ventisette decideranno di stanziare.
A CHI SONO ANDATI I PRIMI 37 MILIARDI DELL’UE?
Che non si tratti di un problema di lana caprina, ma di sostanza, lo spiega bene un rapporto del think-tank European Stability Initiative (Esi), che ha analizzato nel dettaglio come sono stati distribuiti i 37 miliardi di euro del Crii (Coronavirus Response Investment Initiative). Il fondo è stato lanciato dalla Commissione Europea per «rispondere con rapidità e in modo flessibile ai bisogni emergenti nei settori più esposti a causa dell’epidemia» come sanità, mercato del lavoro e tutela delle imprese.
I fondi, non certo cospicui, sono stati messi insieme racimolando quelli non spesi dei programmi di coesione più altri stanziati attraverso il bilancio. Proposto il 13 marzo, l’1 aprile il Crii è entrato in vigore dopo essere stato approvato da Parlamento Europeo e Consiglio. «Si è trattato di qualcosa di importante, ma per alcuni è stato più importante che per altri», si legge nel rapporto dell’Esi.
POCHI ALL’ITALIA, TANTI A UNGHERIA E ROMANIA
L’Italia, infatti, ha ricevuto in tutto 2,3 miliardi (0,1 per cento del Pil) a fronte di 1,7 miliardi ricevuti dalla Grecia (0.9 per cento), 3 dalla Romania (1,4), 4,1 dalla Spagna (0,3) e ben 5,6 dall’Ungheria (3,9). Peccato che il 13 marzo, quando il fondo è stato proposto dalla Commissione Europea, il coronavirus non avesse affatto colpito questi paesi allo stesso modo: se l’Italia era il paese più afflitto con già 1.266 vittime e la quarantena imposta a tutti i cittadini, la Spagna aveva appena 133 morti, la Grecia uno, Romania e Ungheria zero.
Il motivo di una simile discrepanza tra aiuti allocati e necessità di ricevere aiuto risiede ancora una volta nella totale mancanza di unità e solidarietà tra gli Stati membri. Per non aprire l’ennesima infinita discussione tra i paesi, costellata di litigi, ripicche e piccinerie, la Commissione ha deciso di allocare le risorse del Crii seguendo i criteri dei fondi di coesione. I paesi come Ungheria o Polonia (che ha intascato ben 7 miliardi), di conseguenza, sono stati enormemente beneficiati. Ai paesi dell’Europa meridionale, che più avevano bisogno del fondo, sono rimaste le briciole.
SE IL BUON GIORNO SI VEDE DAL MATTINO
Secondo l’Esi è fondamentale modificare il processo di costruzione del budget europeo, «altrimenti l’Europa si suicida», soprattutto dal momento che la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha più volte dichiarato che più dei coronabond potrà il budget europeo per risolvere la crisi economica innescata dall’epidemia. Se queste sono le premesse, è facile prevedere altre cattive notizie per l’Italia, anche perché Polonia e Ungheria si sono già opposte a ogni modifica dei criteri di allocazione dei fondi. In attesa del 23 aprile, continua a essere notte fonda a Bruxelles.
Foto Ansa
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