
Ue, meglio intergovernativa
La presidenza italiana del Consiglio d’Europa ha un’agenda carica. Il centro del mandato italiano è occupato dal vertice di settembre in cui inizia la conferenza intergovernativa sul progetto elaborato dalla commissione del presidente Giscard. Al vertice del progetto vi è uno spostamento dell’accento istituzionale sulla dimensione interstatale piuttosto che su quella federale. Ciò era già implicito nel Trattato di Maastricht, che introduceva la sussidiarietà, un principio diverso da quello del federalismo definito dal Trattato di Roma. Il Trattato di Roma poneva la Commissione europea come la “garante dei trattati”, attribuendole uno status diverso sia dagli Stati che dalla loro cooperazione europea: era il principio del federalismo, inteso allora come conferimento a un potere federale europeo di competenze autonome che erano proprie degli Stati sovrani. Il Trattato di Maastricht, introducendo nelle istituzioni europee il principio di sussidiarietà, andava in direzione opposta: stabiliva che ciò che non era formalmente riservato alle istituzioni europee era di pertinenza degli Stati. Il federalismo europeo era un principio di accentramento, la sussidiarietà decentrava il criterio con cui stabilire le azioni delle istituzioni europee. Il progetto di Giscard prevede l’elezione da parte del Consiglio dei Ministri di un presidente che rimanga in carica per due anni e mezzo, duplicabili: rafforza cioè la dimensione intergovernativa inevitabilmente a detrimento di quella federale. Prevede inoltre un ministro degli esteri europeo, nominato dal Consiglio d’Europa che assorba in sè le competenze sia della politica estera che dell’attuale segreteria del Consiglio per la politica estera. Il Consiglio dei ministri presenta al Parlamento europeo, che può confermarlo o respingerlo, il candidato a Presidente della Commissione. La conferenza intergovernativa di Roma si trova quindi di fronte ad un cambiamento istituzionale che è diverso dall’impulso federale nel senso che esso ebbe alle origini dei trattati europei. Non è mancata la proposta di affidare al Presidente del Consiglio d’Europa anche la presidenza della Commissione, che diverrebbe così un organo esecutivo del Consiglio d’Europa: quindi della decisione dei governi. Se questa linea prevarrà, come pare, il federalismo europeo sarà sostituito dalla collaborazione intergovernativa. Per quanto ciò sembri una novità, la riforma non si discosta molto dalla realtà di fatto attuale, in cui il potere legislativo appartiene al Consiglio dei Ministri. Il principio federale ha dato origine alla tendenza delle istituzioni solamente europee, Commissione e Parlamento, a legiferare in forma sempre più analitica e a moltiplicare quindi la legislazione e la burocrazia bruxellese. L’allargamento rende ancora più difficile pensare a un vero principio federale. L’Europa dei sei fondatori è l’Europa carolingia, aveva una storia comune di più di duemila anni. Una storia comune giustificava il principio federale perché l’Europa occidentale era stata unita dall’impero romano e dalla Cristianità. Pensare all’Europa centrale ed orientale in chiave federale non ha senso, mentre invece il principio di un conferimento di poteri ad uno strumento che si fonda sul diretto consenso degli Stati e ne rispetta la nazionalità, come proposto dalla Convenzione di Giscard, sembra più conforme alla realtà. Diciamo “sembra”, perché la prospettiva di una politica della difesa comune e di una politica estera comune si sono allontanate. Ed è anzi questo il maggior problema che deve affrontare la presidenza italiana: la divisione sulla guerra irakena potrebbe essere più profonda di quanto desiderabile.
bagetbozzo@ragionpolitica.it
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