
Ue. Perché la destra più divisa di sempre è una buona notizia per i conservatori

La campagna elettorale per le recenti elezioni europee è stata punteggiata da appelli all’unità della destra propedeutici ad un cambio di maggioranza al Parlamento europeo che avrebbe dovuto buttare i socialisti all’opposizione e rivoluzionare gli assetti dell’Unione. In Italia è stato soprattutto il leader della Lega a farsene portavoce, mentre all’estero il principale campione dell’unità delle destre è stato il primo ministro ungherese e capofila dei trumpisti europei Viktor Orban. Invano chi segue e conosce le cose europee ha cercato di spiegare che si trattava di una fantasia senza fondamento.
A circa un mese dalle elezioni e coi gruppi politici al Parlamento europeo ufficialmente formati, ci troviamo in effetti davanti alla destra numericamente più forte, ma politicamente più divisa di sempre. Alla destra del Partito popolare europeo (Ppe) hanno infatti finora preso posto non uno ma ben tre gruppi diversi.
I tre partiti della destra europea
Il primo è il partito della nostra presidente del Consiglio, quello dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), fondato nel 2009 dai conservatori britannici e da alcuni loro alleati centro-europei dopo aver abbandonato il gruppo che condividevano col Ppe per le posizioni, ai loro occhi troppo federaliste, dei popolari.
Il secondo, quello dei Patrioti per l’Europa, si è appena formato, ma è in realtà poco più di un restyling del preesistente gruppo di Identità e democrazia (Id), in cui sedevano, tra gli altri, il Rassemblement National di Marine Le Pen e la Lega di Matteo Salvini, ora puntualmente confluiti nel nuovo. Per soddisfare l’ego politico ipertrofico e il desiderio di protagonismo del tribuno magiaro, che gli rendevano inaccettabile la prospettiva di unirsi semplicemente ad un gruppo politico esistente, si è proceduto alla fondazione di un nuovo gruppo con membri quasi identici al precedente, a parte appunto il Fidesz di Orban, il partito liberal-populista del miliardario ceco Andrej Babiš, in uscita dal gruppo liberale, e i nazionalisti spagnoli di Vox.
Questi ultimi, in fase di radicalizzazione dopo risultati elettorali non elettrizzanti e una recente purga delle componenti liberalconservatrici, voltano le spalle proprio a Ecr e al suo presidente Giorgia Meloni, permettendo ai nuovi Patrioti di superare di misura i Conservatori per numero di seggi e sottraendo loro l’agognato terzo posto sul podio dei gruppi numericamente più importanti del nuovo parlamento.
Chiamiamoli “Sovranisti”
Infine, all’estrema destra dell’emiciclo europeo, si è collocato il nuovo gruppo dell’Europa delle nazioni sovrane (chiamiamoli “Sovranisti”) costruito intorni ai tedeschi di Alternativa per la Germania, che Id aveva espulso poco prima delle europee per impedire che il radicalismo delle loro proposte e l’imbarazzo dei loro scandali potessero, di riflesso, mettere in dubbio la credibilità dei lepenisti francesi come partito di governo.

Meloni e Orban
A pochi giorni dall’importante voto parlamentare che, il prossimo 18 luglio, deciderà se confermare o meno Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, che significato politico dare a questo processo di frammentazione e riaggregazione delle destre europee?
Innanzitutto, appare sempre più chiaro come la cosiddetta “destra” in Europa non riesca ad unirsi perché in realtà non ne esiste solo una ma almeno tre, strutturate, come insegnano i politologi, da fondamentali fratture politico-culturali (i “cleavages” della scienza politica anglosassone): il centro-destra europeista e atlantista del Ppe, il conservatorismo moderatamente euroscettico ma fermamente atlantista prevalente in Ecr, e il radicalismo nazionalista e per lo più antioccidentale della destra più dura, oggi divisa tra Patrioti e Sovranisti più per questioni di rispettabilità e agibilità politica che per fondamentali divergenze programmatiche.
Chi persegue l’unificazione di almeno due di queste tre destre (è certamente il caso dell’ambizioso Viktor Orban) si propone in realtà d’imporre l’egemonia strategica di una di esse (la sua) sulle altre, trasformandole in utili riserve di voti conservatori al servizio di un’agenda di rottura rivoluzionaria con gli attuali assetti europei e atlantici. Meloni e i suoi alleati conservatori fanno dunque benissimo a resistere, non da oggi ma ormai da vari anni, alle manovre di chi vorrebbe attirarli in questa intricata ragnatela, che ne ridurrebbe drasticamente la libertà d’azione e la capacità di incidere sugli equilibri europei e atlantici.
Ppe ed Ecr
In secondo luogo, la partnership più promettente su cui investire nei prossimi mesi e anni per rafforzare posizioni conservatrici nell’Unione europea sembra quella tra popolari e conservatori, non quella tra conservatori e patrioti/sovranisti. Se, infatti, si permette a forze percepite come nazionaliste e antisistema di appropriarsi delle parole d’ordine della tradizione conservatrice, indentificandole stabilmente con le proprie posizioni, rappresentare valori e promuovere politiche autenticamente conservatrici nell’attuale Ue diventerà un’impresa ancor più ardua di quanto già non sia. Ciò perché esse verranno percepite come strutturalmente ostili all’integrazione europea e, dunque, marginalizzate d’ufficio.
È quindi fondamentale continuare l’opera di moderazione e di inserimento di Ecr nei gangli del potere europeo che, negli ultimi anni, ha permesso a suoi partiti membri di prender parte a governi di centro-destra (a volte persino di guidarli) in paesi come l’Italia, la Cechia, la Svezia, la Finlandia e forse, tra qualche settimana, il Belgio.
Cosa sa von der Leyen
La situazione nel nuovo parlamento europeo appare tutt’altro che sfavorevole a questo processo. Le uniche forze a crescere sono state il Ppe e le formazioni alla sua destra, mentre i socialisti sono rimasti stabili, e liberali e verdi hanno accusato forti perdite. Sebbene, quindi, l’architrave del sistema politico europeo non possano che restare i tre partiti tradizionali, le urne hanno espresso chiaramente la necessità di un aggiustamento degli equilibri verso destra, del resto sottilmente recepito nelle priorità, non propriamente progressiste, enunciate da Ursula von der Leyen per i prossimi cinque anni: soprattutto sicurezza e difesa, immigrazione e competitività, rispetto alla transizione verde che troneggiò dopo le elezioni del 2019.
Von der Leyen sa bene che per assicurarsi la rielezione tra qualche giorno dovrà riuscire a includere nella sua maggioranza sia una parte dei verdi che dei conservatori. Inoltre, a differenza di qualche anno fa, l’attuale leadership del Ppe, espressione dei cristiano-sociali bavaresi, appare assai meglio disposta al dialogo con forze conservatrici costruttive e moderate. Infine, non bisogna dimenticare che, per la prima volta in questa legislatura, le forze alla sinistra del Ppe non controllano sufficienti seggi da poterlo mettere in minoranza su alcuna questione, un altro cambiamento strutturale che favorisce la sua flessibilità strategica e potrebbe indurlo, su alcune questioni, a guardare a destra con meno patemi rispetto alla precedente legislatura, se disporrà di partner fidati in quella parte dello scacchiere politico.
Un diverso “europeismo conservatore”
Nel complesso, quindi, la disunione delle destre nel nuovo parlamento europeo si rivelerà utile al rafforzamento di posizioni conservatrici se servirà a separare il grano dell’autentico conservatorismo dalla zizzania del radicalismo pseudo-conservatore e anti-Ue; e se, così facendo, favorirà quel dialogo e coordinamento tra popolari e conservatori che, pur restando irto di ostacoli e suscitando molti nemici non solo a sinistra, rappresenta comunque il miglior viatico per riequilibrare verso destra il sistema politico europeo nella legislatura appena iniziata.
Il prossimo passo non potrà che essere il sostegno delle forze più moderate di Ecr alla rielezione di Ursula von der Leyen nel voto segreto dei prossimi giorni, dato che un voto contrario e probabilmente anche un’astensione rappresenterebbero uno strappo difficile da sanare nell’immediato. Dopo quel segnale di apertura, esplorare forme di dialogo e coordinamento tra conservatori presenti nei vari gruppi politici potrebbe rivelarsi più semplice, come anche imboccare più convintamente la strada che dal “conservatorismo euroscettico”, prevalente negli ultimi anni, porti alla formulazione di un diverso “europeismo conservatore”, con pieno diritto di cittadinanza e capacità di influenza nelle istituzioni europee.
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