Un abbraccio a Formigoni

Di Redazione
08 Marzo 2019
Altre lettere per l’ex governatore lombardo detenuto nel carcere di Bollate
Roberto Formigoni

Pubblichiamo di seguito altre lettere giunte in redazione dopo la condanna di Roberto Formigoni. Per scrivere a tempi: redazione@tempi.it. Per scrivere direttamente all’ex governatore lombardo: Carcere di Bollate, via Cristina Belgioioso, 120, 20157 Milano – Italia. Siate intelligenti e prudenti in quel che scrivete nei messaggi. Che siano testimonianze d’affetto, lasciate perdere altre considerazioni. Noi provvederemo ogni mese a mandargli Tempi con una copia dei vostri messaggi. Qui la lettera che ci ha inviato per ringraziare tutti.

Caro Roberto, è difficile che tu possa ricordarti di me. Vivo da sempre a Genova, ho lavorato molti anni in Ansaldo e sono stato un tuo convinto sostenitore e quando possibile anche elettore. Sono rimasto amareggiato dall’esito del processo in cui sei stato coinvolto. Non conosco ovviamente i dettagli della questione ma sono sicuro, insieme a tanti amici, della tua sincera innocenza. Il Signore ha permesso probabilmente questa ingiustizia per trarne misteriosamente frutti positivi per la tua vita e per quella delle persone a te vicine. Ricordo come fosse oggi una giornata piovosa ai primi anni 90. Tu allora eri vicepresidente del Parlamento Europeo e fosti invitato a celebrare la ricorrenza del 25 aprile nella fabbrica dell’Ansaldo di Genova. Fosti il primo politico non di sinistra a intervenire in questa occasione. Fu un grande onore per me accompagnarti sotto il mio ombrello a depositare una corona alla lapide dei caduti, ascoltare attentamente il tuo discorso non conformista ai lavoratori e vivere in tua compagnia il resto della giornata anche in modo conviviale. So che poi hai ben amministrato la tua regione di cui sei stato un grande Presidente. Purtroppo l’ingratitudine umana non ha limiti. Spero che questa ingiustizia non intacchi il tuo spirito. Don Giussani ti sarà vicino e con lui noi tuoi amici e tutti coloro che riconoscono il bene che hai fatto in tutti questi anni. Un abbraccio affettuoso.
Gian Enrico Tardivelli 

Caro Roberto, una infinita tristezza ha assalito me come tanti alla notizia della tua condanna e ogni giorno provo una pena grande nel saperti rinchiuso a Bollate. Il pensiero è andato a quel primo incontro di tanti anni fa nella sede del Movimento Popolare di via Copernico 7 (la ricordo un po’ tetra) dove mi avevano spedito da Napoli per “prendere contatti” con Mp. E poi gli incontri al Consiglio di Mp per alcuni anni prima della tua elezione al Parlamento Europeo. Hai incarnato in politica tutto quello che abbiamo imparato nell’esperienza cristiana… il valore della persona umana, la sussidiarietà, lo sguardo aperto al mondo, l’incontro tra popoli e religioni diverse, la libertà di educazione. In Regione Lombardia e, a macchia d’olio, in tante altre realtà, questi principi si sono tradotti in fatti concreti per il bene del popolo. Ora preghiamo per te per la stessa unità di vita che ci muoveva allora: sei chiamato oggi  ad una nuova sfida. Sono sicuro che anche questa tremenda esperienza porterà frutto per te e per tutti noi. La tua testimonianza sarà ancora preziosa per la nostra vita. Ti abbraccio con immutata ammirazione e stima, ti sono vicino nella preghiera a San Giuseppe in questo mese di marzo e ti ricorderò ogni giorno con un pensiero su Facebook fino a che non uscirai da lì. 
Vitaliano Sena 

Carissimo Roberto, con tutta la mia famiglia ti siamo vicini e preghiamo ogni giorno per te. Ti devo un grazie particolare perché i miei 5 figli e nipoti hanno potuto ricevere una buona educazione nella scuola libera e i più grandi una buona riuscita nella vita. Non ti scoraggiare: Gesù non abbandona mai. Un grosso abbraccio e un augurio.
Battista Menoncello

Caro Roberto, è da una piccola città di laguna veneta che ti scrivo. Tu la ricorderai forse: venisti a fare una scuola quadri che eri giovanissimo filosofo apprezzato, ritornasti poi a sostenere alcuni di noi che si presentavano nelle liste della Dc, una vita fa. Ma si può dire che nel nostro impegno politico tu fosti un punto di riferimento, una testimonianza che si poteva cambiare qualcosa nel senso del pluralismo e della sussidiarietà. Così chi di noi ha fatto anche solo per una breve stagione politica ti portava nella mente e nel cuore. Il sacrificio che ti è chiesto corrobora ciò che hai fatto. Mia sorella Maria Grazia, memores come te, ci invitava sempre quando era tra noi a pregare per te perché eri il più esposto. Ti ricordiamo quotidianamente nella preghiera qui a casa nostra e siamo convinti che in qualche modo tutto questo non sia senza un senso. Ti restiamo amici, caro Roberto.
Piergiorgio e Luisa Bighin da Chioggia

Conosco Roberto Formigoni da molti anni e posso dire di aver vissuto con lui importanti momenti della vita politica del nostro Paese. Partecipo, per quanto mi è possibile, alla fatica cui è chiamato e desidero dirgli, anche da queste righe, che i momenti più difficili della vita sono anche quelli in cui il Signore ci è più vicino e ci accompagna verso una esperienza umana e di fede più vera e profonda. È questo il significato straordinario che attribuisco al comunicato che Comunione e Liberazione ha emesso dopo la sua condanna. Affermando che tutto il corpo soffre se un membro del corpo soffre, non solo lo riconosce pienamente come figlio, ma al tempo stesso offre un modo non politico, non moralistico, non sentimentale, di guardare alla sua vicenda, un modo totalmente nuovo e diverso rispetto a quello in cui saremmo istintivamente tentati di porci. È l’aprirsi di un altro mondo. È il mondo in cui Cristo è la risposta alla domanda dell’uomo in qualunque tempo e circostanza, termine ultimo di paragone e di giudizio della storia, avvenimento presente qui ed ora, attraverso il miracolo della comunità cristiana, dentro la verità e le contraddizioni della nostra vita: un mondo al quale nessuno e nulla può sottrarci. È un cristianesimo che non si limita a predicare valori ed impegno sociale, ma, là dove la persona è, genera una “presenza” che prende le mosse, non dalla volontà di “mettere bandierine” o di “occupare potere”, ma dalla novità umana che origina nel cuore dell’uomo dall’incontro con Cristo e dallo spontaneo comunicarsi di questa novità in ogni campo dell’esistenza. Un cristianesimo che si impasta con la vita, che si rende culturalmente e socialmente visibile, fino al tentativo libero e personale di costruire “opere” e di impegnarsi anche in politica. Una Chiesa che si ponga come agenzia di buoni propositi e buone azioni verso gli ultimi, riceve diritto di cittadinanza e plauso da parte di tutti. Un cristianesimo che ponga Cristo come punto di sintesi della persona e della storia, presenza misteriosa ma reale nella trama delle vicende umane, suscita sospetto, pregiudizio, a volte avversione e addirittura scandalo in una società secolarizzata che pensa di poter fare tutto con le proprie mani in nome della scienza e del progresso ed in cui l’uomo crede di poter essere tutto ciò che vuole. È un pregiudizio che viene da lontano e che forse spiega, nel caso di Formigoni, aldilà e a prescindere dagli aspetti giudiziari che lo riguardano, la volontà di calare un silenzio tombale su tutto ciò che di buono ha realizzato negli anni in cui è stato presidente della Regione Lombardia e di oscurare il fatto che è stato l’unico politico italiano degli ultimi vent’anni ad aver tentato di applicare la Dottrina Sociale della Chiesa alla propria azione di governo. Don Baget Bozzo diceva in senso positivo che il nostro è “un cristianesimo carnale”, che coinvolge cioè la materia della vita. Certo, in ogni tentativo, in ogni costruzione c’è il rischio di sbagliare e perciò ogni opera va vissuta con l’ironia e il distacco che la consapevolezza dei nostri limiti richiede, sapendo che proprio l’origine del nostro agire ci espone spesso ad un giudizio aprioristicamente più severo e sulla base di categorie radicalmente diverse da quelle per cui ci muoviamo. Ma non per questo possiamo rinunciare: è parte viva del nostro carisma e della nostra storia. L’errore più grande che i cristiani potrebbero oggi compiere è cedere alle lusinghe di chi, dopo averci magari contrastato per anni, è pronto a riconoscerci diritto di cittadinanza e a compiacersi per la nostra purezza, al prezzo di una ritirata nelle sacrestie e nello spiritualismo o di una presenza fatta solo di attivismo sociale. Ne uscirebbe un mondo in cui il cristianesimo non ha più il fascino di una piena avventura umana e dove dominerebbe il grigiore del dualismo tra “sacro” e “profano”. Non è questo il cammino che vogliamo fare, né che stiamo facendo. In fondo la storia della Chiesa, la nostra stessa storia ci mostra che il Signore ha usato ed usa dei nostri pregi e, a volte, dei nostri stessi difetti, per costruire qualcosa che, sorprendentemente, è sempre e comunque più grande di noi.
Marco de Petro

Foto Ansa

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