
C’è un Codice appalti che blocca gli appalti (quando non genera corruzione)

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Chissà perché le commissioni più interessanti, ricche di idee per riformare l’Italia più delle banderillas dei like piantati sul toro (si fa per dire) della Rete dove siamo tutti Obama, Francesco e Che Guevara, sono quelle secretate. Ne cito un paio ad esempio. Quella in cui è passato in audizione il nuovo segretario generale del Comune di Milano, Fabrizio Dall’Acqua. E l’altra, che ha ospitato il magistrato a riposo, ex pool Mani pulite, collaboratore di Falcone e ora consulente della giunta Sala, dottor Maurizio Grigo. Dalla breve relazione del segretario abbiamo dedotto quanto segue.
Primo. Siccome è notorio che l’Italia non è un paese di piena disoccupazione, soprattutto giovanile, ma è il paese delle meraviglie che appena ti affacci sul mercato del lavoro hai solo da scegliere, il nuovo Codice degli appalti (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50) aggiornato con le modifiche introdotte dal decreto correttivo (decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56) è stato pensato così meravigliosamente – e naturalmente al grido “lo vuole l’Europa, lo vuole l’anticorruzione!” – da favorire al massimo il lavoro della magistratura e la paralisi dell’amministrazione, insieme alla fuga dei capitali e dei lavoratori all’estero.
Secondo. Siccome già Tacito insegnava che «corruptissima re publica plurimae leges» (moltissime sono le leggi quando lo Stato è corrotto), se i Roberto Saviano e la coppia degli autori della Casta non esistessero bisognerebbe inventarli. In modo che Repubblica sia sempre traboccante di post-it in richiesta di moltissime leggi. E il resto di blindati tenga alta la diga dell’antipolitica in modo da tenere anche il più lontano possibile ogni ripresa fondata sulla naturale predisposizione degli italiani alla libera iniziativa e al commercio dei propri talenti.
Decreti, controdecreti e ridecreti
Dunque. Già appena approvato, il nuovo Codice degli appalti faceva acqua da tutte le parti. Tant’è che due mesi dopo il suo varo occorse intervenire per correggere ben duecento (200!) errori. Non bastando i duecento (200!) errori, due anni dopo, nel 2016, sempre col governo Renzi, nel nuovo Codice sono state inserite oltre quattrocento (400!) modifiche, intervenute su almeno la metà dei duecentoventi (220!) articoli. Voi pensate che dopo tante sudate carte il nuovo Codice sia andato via liscio all’attuazione? Errore. L’attuazione dipende dall’approvazione di sessanta (60!) decreti attuativi. Decreti presidenziali. Ministeriali. Interministeriali. Manca qualcosa? Sì, perché non bastassero gli errori, le inserzioni, i decreti mancanti, l’attuazione del nuovo Codice di Alice nel paese delle meraviglie, esige la supervisione dell’Anac, Autorità nazionale anticorruzione di istituzione renziana e renzianamente battezzata lo stesso anno 2014 di nuovo Codice degli appalti. Presieduta dal magistrato napoletano Raffaele Cantone all’uopo di «prevenire la corruzione nell’ambito della pubblica amministrazione nelle società partecipate e controllate dalla pubblica amministrazione, anche mediante l’attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali» eccetera. Tutto questo tric e trac per dire che, oltre a districarsi nelle norme, inserzioni, correzioni, decreti mancanti, vuoto normativo (per cui valgono ancora certe regole del vecchio Codice dpr 207/2010), un contratto pubblico che non volesse essere esposto alla curiosità indagatrice del primo pubblico ministero che gli pungesse vaghezza di sfrucugliare una amministrazione, esigerebbe anche il rispetto delle linee guida dell’Anac, vincolanti e consultive.
Morale della favola del nuovo Codice degli appalti (e questa sì è parola di segretario generale del Comune di Milano. come potrebbe essere parola di qualsiasi segretario del Comune più lontano da Milano): «Siamo nel caos, l’operatore impazzisce dentro una giungla di norme, gli appalti sono bloccati, paradossalmente il marasma favorisce i fenomeni corruttivi, rischiamo il regime di amministrazione pubblica difensiva». Così, oltre alla medicina difensiva, adesso abbiamo pure una pubblica amministrazione in cui il funzionario, prima di firmare una carta, si procura la mutanda di ghisa dal suo superiore o semplicemente blocca la pratica per non rischiare un avviso di garanzia. E chi glielo fa fare di prendersi un rischio nella giungla per millequatrocento (1.400!) euro al mese?
Ps. Dimenticavo: il dottor Grigo, intervenendo in commissione comunale su un altro tema caro ai post-it di Repubblica e all’Anac di Raffaele Cantone (ricordiamo che il presidente Anac e il presidente dell’Antimafia hanno chiesto la legalizzazione della cannabis per combattere corruzione e mafia), ha dichiarato testuale: «C’è una tale richiesta di droga in Italia che la ’ndrangheta è costretta a cedere ad altre organizzazioni i suoi territori perché non riesce a far fronte alla domanda».
Foto Ansa
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