Un impegno europeo in Irak

Di Gianni Baget Bozzo
27 Febbraio 2003
Siamo giunti ad un crocevia storico di grande significato

Siamo giunti ad un crocevia storico di grande significato. Se si potesse evitare la guerra, tutti saremmo felici: ma ci stiamo entrando dentro. Con il consenso delle Nazioni Unite o senza, gli Stati Uniti, provocati dal’11 settembre, hanno deciso di tagliare il nodo gordiano del Medio Oriente: è una decisione senza precedenti, perché contraddice l’isolazionismo della superpotenza in modo radicale a prezzo della vita dei suoi soldati. Il dibattito sulla guerra ha cancellato, in ogni parte, il dibattito sulle conseguenze della guerra o della non guerra. I contrari all’intervento americano pensano che un Saddam, liberato dalla minaccia di guerra e dal blocco economico, non riprenderebbe a ricostituirsi come potenza egemone per condizionare la guerra israeliana-palestinese? La linea americana comporta l’occupazione militare diretta e la ricostruzione delle forze politiche come avvenne in Giappone, ma il Giappone era una società capace di subire il fatto, perché aveva una struttura religiosa costituita al Giappone come identità sacra. L’Irak è invece una società islamica, fondata sulla differenza tra Sunna e Shia, più la differenza etnica curda a nord: occorre mantenere lo Stato irakeno oppure produrre una nazione federale basata sulle appartenenze religiose ed etniche? L’Irak è uno Stato creato dalla pace di Versailles, dopo che gli inglesi avevano organizzato vittoriosamente la ribellione degli arabi contro i turchi. L’unità irakena era fondata sul regime della dinastia hashemita sotto controllo inglese, poi dal regime militare, a partire dal colpo di stato di Kassem nel ’58. È uno Stato mantenuto unito a forza. Ma l’autonomia curda susciterebbe problemi in Turchia: e perché la parte sciita non sarebbe tentata di integrarsi nella Repubblica sciita iraniana? L’unità irakena si manifesta ad un tempo come necessaria e problematica. Ciò significa che l’occupazione americana non sarà breve. L’Europa avrebbe tutto l’interesse a gestire il futuro più di quanto ne abbia di gestire l’accordo di Dayton in Bosnia e la occupazione del Kosovo, che gli americani le hanno abbandonato come oggetti senza valore. Invece la partecipazione europea ad un Irak dopo Saddam può essere necessaria e rilevante. Quello che è rilevante è che gli Stati Uniti non intendono più affidare ai sauditi la gestione dell’area araba e degli interessi petroliferi. Ciò significa un coinvolgimento occidentale nell’area araba, e quindi un tentativo di organizzazione di una democrazia in un paese islamico che ha un livello culturale, economico e sociale maggiore di altri. è sperabile che la Francia non ponga il veto alla risoluzione anglo-spagnola-americana. Indipendentemente dalle divisioni tattiche, ciò creerebbe la base per una strategia comune. Finchè il mondo dei paesi arabi sarà diviso tra il fondamentalismo ed i regimi militari, esso rimarrà senza prospettive di futuro. E la giovinezza che esso contiene sarà condannata o alla frustrazione od alla ribellione.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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