Un mancato prof a Tokio, la lezione del Cardinal Martini e le ragioni della pace

Di Luigi Amicone
14 Aprile 1999
Lettere

Cari amici, ebbene ce l’ho fatta: ho trovato lavoro. Non come insegnante di italiano come mi ero proposto alla partenza un paio di mesi fa, bensì come segretario tuttofare in una ditta di rappresentanza. Ma che volete… si fa un gran parlare di flessibilità e in fondo non è forse anche questo un modo di essere flessibili? Sono in prova per sei mesi, poi si vedrà. E sei mesi di prova non sono poi male in questo paese che comincia a confrontarsi seriamente con il problema disoccupazione, attualmente intorno al 4,4% circa e in crescita. Il che provoca un certo senso di insicurezza nella popolazione. La società giapponese comincia, cioè, a fare i conti con l’apprensione per il futuro e il senso di sconforto di quarantenni e cinquantenni falciati dalle ristrutturazioni aziendali e lasciati a chiedersi se sono ancora buoni per il mondo là fuori. E addirittura con mariti abbandonati da mogli che non sono più disposte a convivere con un uomo che non riesce a garantire loro il tenore di vita cui si erano abituate. Anche per questo perciò, farò tutto il mio meglio, per tenermi stretto questo lavoro che mi è capitato tra le mani.

Enrico Madama, Tokyo Dopo i fiori ecco anche la lettera da Tokyo. Coincidenza vuole che a Natale, giusto alla partenza del nostro amico, evocassimo il fantasma dei concorsi per la scuola, applaudendo chi, come Enrico, appena laureato in Lettere, si era preso il rischio dell’avventura piuttosto che starsene con le mani in mano ad attendere una delle 44mila cattedre che Berlinguer, proprio in questi giorni, ha offerto a dicasi 2,5 milioni di concorrenti. Se il Giappone sta male, la scuola italiana sta peggio.Tutto è possibile, quindi anche una resurrezione. Ma siamo sinceri: perché si muova foglia nella scuola italiana, occorre il consenso dei sindacati (inspecie Cgil) e della sinistra laicista. I quali ad esempio, se fossero così coerenti da esprimere anche nei fatti la loro stima per le posizioni del Cardinale di Milano Carlo Maria Martini, dovrebbero avere il coraggio di seguirlo fino alle conseguenze del puntuale e laicissimo discorso che ha tenuto giusto un paio di settimane fa in occasione del tradizionale raduno in Duomo delle scuole private milanesi. In quel discorso il Cardinale spiegò bene perché la parità scolastica non è un favore fatto alla Chiesa e perché non si tratta di sottrarre fondi alla scuola statale ma di garantire una libertà che è sancita dappertutto in Europa. Il problema è che per organizzazioni come la Cgil è un bel sacrificio dover rinunciare al principio del monopolio statale dell’istruzione. E questo perché monopolio significa potere, clientele, denaro. Pace e bene al nostro corrispondente dal sol levante.


Caro Direttore, durante questi giorni di guerra in Kosovo ho visto con rammarico il manifestarsi di due sentimenti contrastanti nel Governo italiano e in un gruppo di elettori di sinistra, pronti ad esprimere in piazza, a modo loro, il dissenso nei confronti della guerra, soggiogati dai loro leader politici e dalla stampa di partito. Ho notato il panslavismo andare oltre i suoi confini naturali: inizia a Mosca e finisce a… Roma.

C’è un nuovo asse panslavo, un triangolo di morte in mano a Milosevic: Mosca, Belgrado, Roma. Dall’inizio della storia del movimento comunista, i leader dei partiti marxisti europei hanno sempre assecondato i desideri di egemonia degli slavi, a cominciare dalla seconda internazionale. Basti pensare alla capitolazione del Partito Comunista Italiano davanti alle pretese territoriali jugoslave sull’Istria e su Trieste, con la rinuncia anche a quel minimo di orgoglio nazionale, davanti all’arroganza slava. Quando sento Cossutta e Bertinotti che parlano di sospensione dei bombardamenti, che tuonano contro gli americani e lo Stato, mi sembra di sentire i più grandi demagoghi di stampo comunista, capaci di far passare il dittatore per vittima, senza mai parlare delle atrocità e del suo disegno di olocausto nei confronti della popolazione civile albanese. La pulizia etnica in atto passa in secondo e terzo piano e ogni albanese ucciso o cacciato dalle proprie terre viene pugnalato e cacciato via una seconda volta da questi alleati del “macellaio dei Balcani”, con lui solidali, da veri comunisti e panslavi. La guerra l’ha iniziata e voluta Milosevic dieci anni orsono; lui l’ha inasprita negli ultimi mesi, per la sua sete di potere. Ogni attacco al Kosovo rafforza ulteriormente il suo trono. La Nato è intervenuta per mettere fine alla catastrofe umanitaria ed evitare l’allargarsi del conflitto. L’aggressore non è la Nato, ma Belgrado.

Dire che spetta all’Onu risolvere il conflitto è una presa in giro, quando si conosce il sicuro veto dei comunisti russi e di quelli cinesi e, aggiungo io, anche di quelli romani, che continuano nella loro tradizione di traditori dei loro alleati, grazie ai “compagni” nel Governo.

Çlirim Muça Caro Clirim, il panslavismo non c’entra. Noi siamo la periferia dell’Impero nell’apice della sua decadenza. Abbiamo visto tutto e sappiamo che il primo responsabile di quanto sta accadendo nei Balcani è il capo comunista da lei indicato per nome e cognome. Ciò non toglie che non ci sono molte strade per evitare al Kosovo, agli albanesi e diciamo anche ai serbi, che non sono tutti Milosevic, un’immane tragedia se non quella del recupero della ragione e delle ragioni di una trattativa. Lei crede davvero che un’operazione militare condotta fino in fondo sarebbe utile ai popoli? Noi pensiamo di no.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.