Un miliardo di aborti nel ‘900

Di Caterina Giojelli
23 Marzo 2006
Antoni Socci, Il genocidio censurato, Edizioni Piemme, pagg. 176 euro 10

Se la maternità fosse esperibile unicamente come dettato dalle copertine dell’Espresso, dalle interpretazioni di Repubblica o dagli opinionisti del Corriere della Sera, allora sì, Antonio Socci sarebbe l’avvocato degli indifendibili, l’avvocato del diavolo. Sarebbe. Ma si sa che Socci è noto difensore di perseguitati, strani cristiani e signore di Medjugorje, e che il diavolo non scherza con l’acqua santa. Quello che non si sa e che rivela Socci, è come i maitre-à-penser amino censurare un genocidio che, attualmente, conta già 1 miliardo di vittime, a fronte dei 200 milioni di persone sterminate in tutto il Novecento.
Questo genocidio si chiama aborto: l’eliminazione di innocenti, grazie alla 194 e similari, e del problema, complici media e luminari. Che informano chiamando il feto «protuberanza della donna», «escrescenza amputabile», «grumo fetale», «tumeur dans le ventre», «esseri deformi, inadatti, incompleti». Che premiano la Cina per la sua «capacità di organizzare politiche di controllo della fertilità su larga scala», nonostante manchino all’appello 50 milioni di bambine. Che a Pechino imputano il maltrattamento degli orsi, ma non i 150 milioni di vittime perpetrate dal regime.
Socci documenta la difesa delle galline e degli embrioni di scimpanzé, mentre 90 milioni di embrioni umani vengono eliminati in silenzio. Il permanere del mito propagandistico di «milioni di aborti clandestini», nonostante i ripensamenti di medici e femministe, il dramma di obiettori ex abortisti, e il j’accuse di madri male informate. Vittime anche loro della stessa, scientifica, disinformazione che allora come oggi, sulla legge 40 e sulla Ru486, tace i rischi e propina tassi, dati e numeri fittizi. Che raccoglie 50 milioni di dollari per la riproduzione dei panda, ma ne trova solo 5 per curare bambini afflitti da diarrea, morbillo e tetano.

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