
Una Chiesa da convertire
La “scuola bolognese” di Giuseppe Dossetti e di Giuseppe Alberigo è scesa in armi in occasione dei Dico, assumendo una posizione di conflitto diretto nei confronti della linea che faceva visibilmente riferimento al presidente della Conferenza episcopale italiana, e quindi al Papa, in nome dell’autonomia dei cattolici in politica. Il centro bolognese è il cuore, non solo italiano, di quanti interpretano il Concilio Vaticano II come tentativo di decostruzione radicale della Chiesa della Controriforma per una Chiesa della nuova riforma, fondata sul deperimento del papato, sulla scelta culturale per la “Chiesa dei poveri”, una Chiesa, cioè, dove chi deve diventare veramente povero di potere è il papato romano. Questa corrente di dissenso ecclesiastico, portata avanti da professori universitari di Storia del cristianesimo in Italia e da teologi della medesima linea nel mondo, ha un interesse particolare per la politica italiana. Perché punta a sopprimere quel nesso peculiare che lega il nostro paese al munus petrinum, al primato papale, nesso che fa della Chiesa in Italia il riflesso dell’autorità, anche politica e istituzionale, del papato nel mondo. Ritorna la vecchia tesi secondo cui indebolire il nesso tra il Vaticano e l’Italia significa modificare la natura del papato, togliendogli dimensione istituzionale e autorità politica. L’appello lanciato dalla scuola di Bologna, che ha raccolto ottomila firme, ha costituito e organizzato, per la prima volta nel nostro paese, un dissenso organizzato rispetto alla linea del Papa su quelle materie che si collocano all’intersezione tra la giurisdizione della Chiesa e quella dello Stato: il sesso e la famiglia. È un evento significativo, anche se, miseramente sconfitto, il centro bolognese è stato abbandonato persino dall’Ulivo, che da quell’élite era stato politicamente patrocinato.
In queste circostanze avviene il passaggio del timone della Cei da Camillo Ruini ad Angelo Bagnasco, da poco insediato come arcivescovo di Genova. Genova è stata la città del cardinale Giuseppe Siri, che ordinò sacerdote Bagnasco, inserendolo nella linea dottrinale ed episcopale a lui propria. Non è un caso che l’arcivescovo di Genova torni ad essere il capo dei vescovi italiani come lo fu Giuseppe Siri, il quale della Cei promosse la fondazione e conservò la direzione per tutti gli anni del Concilio. È un segno significativo di ripresa e di ritorno, riappare una continuità che era stata velata ma non spezzata.
L’eredità del cardinal Siri
Angelo Bagnasco viene dalla scuola di Giuseppe Siri e si trova pienamente riconosciuto quando papa Benedetto XVI sancisce la distinzione tra coloro che leggevano il Concilio come elemento di continuità della tradizione e quelli che lo rappresentavano al contrario come demolitore della tradizione e banditore di una “Chiesa dei poveri” di incerto profilo. Bagnasco, infatti, è fra quelli che vedono il Vaticano II in continuità con la tradizione. Genova ha sempre sentito nel suo clero l’impronta del grande cardinale che la governò dal 1946 al 1987 e ne difende il lascito, che è proprio l’invito a proteggere il Concilio da coloro che vogliono leggervi una rottura con la Chiesa del passato. Questi cattolici prevedevano una secolarizzazione della vita ecclesiastica che avrebbe oscurato la dimensione di mistero della fede che costituisce la realtà ultima della Chiesa di Cristo. Ora però è evidente che sarà il Papa stesso a prendere in mano le questioni attinenti ai problemi della famiglia e della vita, e a dare norme all’impegno dei cattolici su tali questioni. Ma Bagnasco dovrà anche governare una Chiesa in cui è riapparso il dissenso e, questa volta, non di base ma di cattedra (almeno universitaria). La scuola bolognese filtra per tanti rami nella cultura cattolica italiana e controlla strumenti di massa come le Edizioni Paoline. Se la sinistra continuerà a governare, i Dico ricompariranno e con essi i “cattolici democratici” (che hanno ereditato il nome dai cattolici eletti nel 1976 come indipendenti nelle liste comuniste), rappresentati dai sessanta parlamentari ulivisti e margheriti pro-Dico guidati da Dario Franceschini. E il nuovo presidente della Cei ha la forza e il coraggio necessari per affrontare questa difficoltà.
Il mistero e il mondo
In quanto al futuro, la prospettiva per l’attuale presidenza della Cei potrebbe essere quella di concentrarsi soprattutto sugli aspetti pastorali delle diocesi italiane, lasciando la questione della gestione politica dei cattolici in mano alla Santa Sede. È questa del resto l’impostazione suggerita da Benedetto XVI, che impegna alla riforma interiore spirituale i cattolici per riformarne i modi e gli stili di vita. Don Angelo è un sacerdote della Chiesa genovese in cui il cardinal Siri ha ispirato il tratto della condotta tradizionale e spirituale dei sacerdoti. Per l’arcivescovo di Genova i gesti fondamentali sono state le visite ai sacerdoti dei vicariati parrocchiali e la decisione di fare della processione del Corpo e Sangue del Signore l’evento fondamentale della vita diocesana. Dal linguaggio della riforma della Chiesa come ricostituzione delle sue istituzioni si passa alla riforma della Chiesa come purificazione dei suoi membri. È la linea che il Santo Padre ha mantenuto ferma con grande chiarezza anche nel doloroso caso della Chiesa polacca (la rivelazione che alcuni sacerdoti avevano collaborato con il regime comunista). Ma è al tempo stesso una forma di piena continuità con la Chiesa di Giuseppe Siri, che vedeva nei preti il movimento centrale più significativo di tutta la vita diocesana, proprio perché portatori del potere eucaristico e quindi del mistero che costituisce l’essenza della Chiesa. Questa impostazione condurrà anche la diocesi ad affrontare i problemi aperti dell’immigrazione islamica e dei matrimoni misti. E forse Genova imiterà quelle diocesi tedesche che hanno creato un manuale per informare le donne cristiane che vogliono celebrare matrimoni con uomini musulmani.
Una Chiesa rivolta al Mistero e al tempo stesso rivoltata dal Mistero verso il mondo, ma con gli occhi segnati da un’altra luce e da un’altra storia.
Auguriamo all’arcivescovo Bagnasco di trovare il suo popolo nella sua Chiesa e di poterlo testimoniare in obbedienza al Papa nella Conferenza episcopale.
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