
Una pandemia nella pandemia

Non è la prima e non sarà l’ultima volta che quando su una data materia si confrontano anche animatamente posizioni contrastanti – come è il caso dei vaccini anti Covid – ci sia chi, pur di portare acqua al proprio mulino, si appigli tirandolo in malo modo per la giacchetta all’autorità di Tizio o Caio.
Di recente l’amara sorte è toccata al filosofo Augusto Del Noce, tirato in ballo da alcuni febbricitanti ambienti cattolici a proposito, appunto, della polemica sui vaccini.
In estrema sintesi il ragionamento, se così si può definirlo, è il seguente. Tesi: Del Noce è stato il filosofo che denunciò l’insorgere di una dittatura frutto dell’omologazione di massa; antitesi: oggi siamo siamo di fronte ad una dittatura, instaurata per via sanitaria, che punta ad omologare cuori e menti al grido “io sto con la scienza”; sintesi: quei cattolici che si rifanno a Del Noce non possono non essere a favore della tesi della dittatura sanitaria, e se non lo sono ed anzi sostengono che non c’è nessuna dittatura e che invece è opportuno e doveroso vaccinarsi per contenere la pandemia, ebbene sono essi stessi la prova provata che la dittatura vive e lotta insieme a noi (cioè a loro).
Ora, mettendo da parte per un momento il non banale dettaglio che prima di parlare di un dato argomento, come nella fattispecie il pensiero di Del Noce, buona norma sarebbe documentarsi per una meno approssimativa comprensione di ciò che il filosofo in questione effettivamente disse, il punto è che risulta sempre un’operazione dal respiro corto, per usare un eufemismo, quella di appioppare ex post improbabili etichette a chicchessia costruendo fantasiosi parallelismi.
Detto altrimenti: il cortocircuito del suddetto “ragionamento” sta nel fatto, di sesquipedale evidenza, che mentre Del Noce aveva argomenti a iosa per sostenere la tesi di una possibile involuzione totalitaria della democrazia come frutto dell’affermazione del relativismo morale e culturale (e il fenomeno del politicamente corretto oggi imperante ne è la miglior prova, come dimostra l’ultimo caso che ha visto il malcapitato Alfonso Signorini linciato senza pietà a palle incatenate solo per aver osato dire “noi siamo contro l’aborto”), al contrario (stra)parlare di “dittatura sanitaria” quando c’è gente che va in piazza a protestare (e ci mancherebbe); che dice liberamente la sua ovunque e comunque (idem come sopra) anche quando farebbe meglio a tacere (tipo quel prelato che è arrivato a dire a favore di telecamera – testuale – che “uccidevano deliberatamente i contagiati per farci accettare le mascherine, lockdown e coprifuoco”, naturalmente ben guardandosi dal fare nomi o produrre uno straccio di prova se no che complotto è, e non aggiungiamo altro per carità cristiana); e soprattutto che ha scelto (liberamente) di non vaccinarsi mettendo a repentaglio la sua e l’altrui salute, ecco tutto ciò non è solo una contraddizione in termini, ma è un fenomeno che la dice lunga sul grado di impazzimento generale che la pandemia ha prodotto tra i suoi molteplici effetti collaterali. Intendiamoci, qui nessuno si sogna neanche lontanamente di accendere ceri a sua maestà la Scienza o a pendere dalle labbra dell’Esperto.
C’è però un “però”. Ed è che a furia di dibattere (che poi, a ben vedere, ma dibattere su cosa, esattamente?) siamo arrivati alla follia per cui tutti si sentono in diritto (e in alcuni casi in dovere, manco si sentissero investiti di una missione divina) di dire la loro su cose di cui non hanno la benché minima competenza. “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”, diceva Wittgenstein. Dice niente? E allora tu puoi pure avere la tua legittima e sacrosanta opinione sui vaccini sul virus sui tamponi ecc., ma la domanda resta: hai sì o no titoli per parlare? Sei sì o no competente in materia? O pensi che siccome hai un cervello più o meno funzionante e siamo in democrazia basta questo per sentirsi autorizzati ad aprire bocca e dargli fiato? O a ritenere che la tua opinione possa (e magari debba) valere tanto quanto quella di chi di mestiere si occupa di virologia ecc. o di chi di mestiere è tenuto a prendere decisioni?
E lasciamo stare la solita manfrina sulla libertà di parola e di pensiero e di critica. Ma per favore. Se io mi trovassi ad una mostra d’arte contemporanea e mi imbattessi con l’artista che espone, al massimo potrei dirgli che questo o quel quadro mi piace di più o di meno di altri, mai e poi mai mi sognerei di intavolare una discussione su come si dipinge. Per il semplice motivo che di pittura non ne so nulla. Né mi sognerei di dare lezioni di tennis a Federer o di canto a Bocelli o di guida a Hamilton.
Spiacenti, ma checché ne dicano certe teorie il cui conto lo pagheremo salato ancora a lungo, in questa come in altre questioni uno non vale uno. Eppure, non passa giorno che non ci tocchi di essere afflitti da un assordante chiacchiericcio, da un implacabile e fastidioso rumore di sottofondo che non serve ad altro che a produrre inquinamento acustico. Quando non si tratti, come hanno giustamente stigmatizzato i vescovi italiani, di “manifestazioni di egoismo, indifferenza e irresponsabilità, caratterizzate spesso da una malintesa affermazione di libertà e da una distorta concezioni dei diritti”. Praticamente, una pandemia nella pandemia. Solo che per questa non c’è vaccino. Urge qualcos’altro.
Foto Ansa
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