
Una poltrona per due
Quando, la settimana scorsa, ho scritto che le elezioni presidenziali americane stavano per chiudersi e che il lettore avrebbe visto il mio articolo già conoscendo l’esito della consultazione, né il sottoscritto né nessun altro al mondo immaginava che dopo una settimana non si conosce ancora il nome del prossimo presidente degli Stati Uniti d’America! Al momento, alcuni mei amici schierati con Al Gore si dicono convinti che un nuovo conteggio manuale dei voti espressi nella contea di Palm Beach in Florida (dove gli elettori più anziani hanno avuto difficoltà nell’interpretare la scheda) confermerà che il vincitore è l’attuale vicepresidente, ma li preoccupa la possibilità che la popolazione statunitense, stanca di questo impasse, finisca per prendersela con Gore per il modo ostinato con cui si sta opponendp ai risultati. Chi si sente più legato alla figura di Gore che non al Partito Democratico in quanto tale vorrebbe che il vicepresidente ricorresse in appello, ma i vertici del partito temono che la gente possa perdere la pazienza rendendo la pariglia al partito in occasione delle elezioni di medio termine per il rinnovo del Congresso che si terranno fra due anni. Per questo hanno voluto che sabato scorso Gore si dichiarasse disponibile ad accettare il responso del conteggio manuale senza ricorrere in tribunale. I dirigenti della sua campagna elettorale, però, hanno deciso di aspettare fino a lunedì per vedere quale reazione avrebbe avuto l’opinione pubblica di fronte agl’inutili dibattiti politici trasmessi domenica dalla televisione.
America spaccata in due? No. Una minoranza ai poli e una maggioranza (di indecisi) al centro
La maggior parte della popolazione, che sembra più occupata a ridere degli sketch televisivi notturni a loro volta galvanizzati da quanto sta accadendo, non sembra affatto, fino a questo momento, vivere situazioni di crisi. Gran parte della satira televisiva s’incentra sull’idea che, dopo tutto, è proprio necessario avere un presidente. In verità, l’interrogativo più interessante di queste elezioni non riguarda il nome del vincitore finale, ma gli elettori. E suona così: il fifty-fifty elettorale indica che l’opinione pubblica americana è spaccata nettamente a metà sull’indirizzo che la politica nazionale dovrà seguire nel corso del nuovo secolo? E potrebbe darsi che questa divisione paralizzi la nuova amministrazione? A mio parere no, le elezioni americane non mostrano un Paese diviso in questo modo. Rivelano invece indecisione. Al Gore e George W. Bush hanno i loro seguaci “duri e puri”, gli uni culturalmente opposti agli altri con un fiume di grandi ostilità che scorre nel mezzo. Ognuna delle due fazioni innorridisce al solo pensiero che la parte avversa possa conquistare la Casa Bianca. Si considerano, vicendevolmente, nemici mortali. Ma non rappresentano la maggioranza della popolazione. La maggioranza degli americani è invece semplicemente indecisa. Lo era prima e durante le elezioni e continua a esserlo dopo. La maggioranza degli americani percepisce che “qualcosa” è mutato e che non si può più (né del resto desidera) tornare indietro, ma non comprende il cambiamento. Né sa bene ciò che l’attende domani. Certamente sa con esattezza cosa concretamente volere dal nuovo presidente: il mantenimento della florida situazione economica attuale.
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