Una poltrona per quattro

Di Fabrizio Ratiglia
25 Settembre 2017
Da sinistra a destra, ricognizione tra le leadership al femminile della politica italiana ormai pronte a sedersi sugli scranni più alti, per meriti guadagnati sul campo. Chi sono, cosa fanno e a cosa puntano le nostre regine di spade

boldrini ansa

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Il 24 settembre il leader dei popolari tedeschi Angela Merkel, strafavorita dai sondaggi, con tutta probabilità diventerà per la quarta volta cancelliere della Germania. Altri quattro anni di mandato dopo i dodici che hanno contrassegnato Berlino come guida e prima potenza industriale del Vecchio Continente.

Seppur con maggiori problemi legati alla controversa Brexit e alle ultime elezioni che non le hanno assegnato il plebiscito sperato, anche in Gran Bretagna c’è una donna al potere: Theresa May, leader del partito conservatore e primo ministro. Ma anche in Croazia con Kolinda Grabar Kitarović, in Lituania con Dalia Grybauskaitė, a Malta con Marie-Louise Coleiro Preca, in Norvegia con Erna Solberg e in Polonia con Beata Szydło le cariche più importanti, quelle di premier o presidente della Repubblica, sono appannaggio di donne.

E in Italia? Tempi ha fatto lo screening e l’esame del Dna alle quattro donne più rappresentative di altrettante culture politiche che si candidano ad avere un ruolo di primissimo piano dopo le prossime elezioni: per la sinistra l’attuale presidente della Camera Laura Boldrini, per i riformisti la dem Maria Elena Boschi, per l’area popolare rappresentata da Forza Italia Mara Carfagna, per i sovranisti il presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Quattro Regine di Spade.

La Presidente
Quando nel 2013 fu eletta presidente di Montecitorio grazie a un’intuizione dell’allora segretario dem Pier Luigi Bersani, che sperava così di siglare un’alleanza con la sinistra di Nichi Vendola e compiacere i Cinquestelle, Laura Boldrini era timida e introversa. Cresciuta a pane e migranti grazie a una lunga esperienza con l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, ha voluto imporre alla politica italiana la differenza di genere. E così il primo atto fu cambiare la carta intestata e pretendere di essere chiamata “La Presidente” subito seguita nella sua battaglia per l’autodeterminazione da ministre e sindache.

Con un’attenzione spasmodica all’immagine, che per la Boldrini significa essenzialmente sobrietà, blasone, compostezza e tutto ciò che è politicamente corretto, La Presidente ha condotto  due battaglie personali: la tutela delle donne, diventando presto un’icona del femminismo, e la lotta contro i rigurgiti culturali del nazifascismo. Ma l’ha fatto con una così esasperata partigianeria da apparire come una maestrina con la verità in tasca. Centinaia di dichiarazioni, probabilmente un record per un ruolo istituzionale come il suo, l’hanno resa il bersaglio preferito degli haters, gli odiatori di professione del web, che hanno iniziato a colpirla con insulti e minacce. Un tam tam continuo, che l’ha convinta a passare al contrattacco.

La Presidente ha iniziato a denunciare chi si azzardava a offenderla, ha organizzato convegni e tavole rotonde per spingere i giganti del web a censurare e ha istituito la commissione contro l’intolleranza e i fenomeni d’odio intitolata a Joe Cox, il suo capolavoro, l’emblema stesso del “boldrinismo”. In pratica – secondo Boldrini – gli italiani hanno opinioni sbagliate e coltivano stereotipi che culminano nella “piramide dell’odio”, cioè il linguaggio ostile e banale che genera intolleranza, e che si trasforma in “crimine d’odio” fino ad arrivare all’omicidio di donne, gay e immigrati.

Nell’attuale quadro politico, dopo cinque anni di zuffe continue in aula con i Cinquestelle, è difficile che possa essere riconfermata. Quasi impossibile vista l’incomunicabilità con il Pd di Matteo Renzi e le difficoltà della sinistra parcellizzata tra Sel, Mdp e Pisapia, l’uomo al quale La Presidente punta per avere un ruolo e un seggio nel prossimo parlamento.

boschi ansaL’influenzatrice
Trentasei anni, bella, eterea, oggetto di ossessioni e vilipendio tanto quanto Laura Boldrini. Sul web gli insulti, le minacce, gli attacchi alla sua carriera lampo sono diventati una valanga inarrestabile tanto da farle dire: «Non c’è più ritegno. Si è passati dall’età dell’amore libero a quella dell’odio libero, come se fosse libertà e non imbarbarimento». Su tutto il resto, lei e La Presidente sono distanti anni luce.

Attivista del Pd toscano, vicina sin da subito a Renzi, è stata eletta nel 2013 e, dopo la caduta del governo Letta, nominata ministro dei Rapporti con il parlamento e delle riforme istituzionali. Ha lavorato a testa bassa, sempre presente nelle commissioni e sempre pronta con il suo sorriso e i suoi modi cordiali a smussare qualsiasi divergenza e a superare ogni ostacolo nelle lunghissime trattative per mettere a punto il testo delle riforme istituzionali. In poche occasioni ha dovuto mostrare i muscoli e alzare la voce. Il suo potere e la sua influenza sull’allora premier sono cresciuti sempre più prima di infrangersi sugli scogli del decreto salva-banche del novembre 2015 (tra cui Banca Etruria di cui il padre al momento del commissariamento era vicepresidente) e della sonora bocciatura del referendum nel dicembre scorso proprio sulla riforma istituzionale che portava il suo nome.

Sembrava finita. Chiunque non si sarebbe rialzato da un simile kappaò. Invece Maria Elena, forte della stima di Renzi, è riuscita a ottenere un posto chiave nel governo Gentiloni: un sottosegretariato alla presidenza del Consiglio dei ministri che pesa più di tanti responsabili di dicasteri. Ogni provvedimento, prima di approdare al Cdm, deve passare dalla sua scrivania ed essere “bollinato”. Non certo dal punto di vista economico, ma da quello giuridico e soprattutto politico. Un ruolo di raccordo tra il governo Gentiloni e il segretario del Pd di cui rappresenta una sorta di emanazione a Palazzo Chigi. Insieme a Luca Lotti interpreta il fulcro del potere di Renzi; i due sono il braccio destro e il braccio sinistro del segretario del Pd.

Se il Pd dovesse vincere le elezioni oppure andare comunque al governo, seppure in coalizione con Berlusconi, per Boschi si aprirebbe un’autostrada verso ruoli di primissimo piano, anche per la presidenza della Camera, carica che gradirebbe assai. Per riuscirci ha cambiato completamente modo di comunicare. Prima era sovraesposta e sulla bocca di tutti, ora limita al minimo indispensabile apparizioni e interviste cercando di apparire il meno possibile e sempre come una donna semplice. Applica la stessa ricetta di Marco Minniti: poche parole e tanto lavoro.

carfagna ansaLa conservatrice moderna
Salernitana, 41 anni, bellezza ed eleganza senza tempo. Accompagna al suo aspetto un rigore e una serietà che si è progressivamente conquistata. Anche lei è stata inizialmente vittima delle illazioni sulla carriera lampo dalla tv alla nomina a ministro per le pari Opportunità. Da quel ruolo istituzionale, a difesa dei diritti e delle prerogative femminili, ha iniziato a puntellare la propria immagine diventando sempre più sobria ed elegante. Mai sguaiata, argomenta sempre le proprie tesi con piglio e determinazione. Le stava stretta la definizione di ex valletta diventata ministro per la sua avvenenza e così ha voluto e ottenuto una legittimazione popolare candidandosi alle regionali della Campania del 2010 e conquistandosi 55 mila preferenze, il consigliere più votato di sempre. Una messe di voti, 6 mila, riconquistata anche alle comunali di Napoli dello scorso anno e, a riprova che è lei il volto femminile di Forza Italia, è arrivata anche la nomina a portavoce del partito di Berlusconi.

L’abbiamo intervistata sullo scorso numero di Tempi e abbiamo avuto la conferma che ha ben chiara la road map per tornare al governo: l’unità del centrodestra è possibile solo nel rispetto di sensibilità e storie differenti, la politica del fare senza retorica e demagogia, l’ancoraggio ai valori tradizionali del popolarismo europeo, uniti alla ferma determinazione di cambiare l’Europa senza ricorrere ai valori destabilizzanti del populismo.

Una conservatrice moderna, sempre più ascoltata ad Arcore e dai maggiorenti di Forza Italia, una donna che nella regione che potrebbe diventare il granaio di voti azzurri ha un consenso invidiabile. Più di qualcuno ha ipotizzato che possa diventare la candidata azzurra per Palazzo Chigi e lei, ormai politico navigato, l’ha subito escluso ribadendo che c’è un solo leader: Silvio Berlusconi.

Meloni ansaLa patriota
Quarant’anni, agguerrita e combattiva, ha le idee molto chiare e non le manda mai a dire a nessuno. Usa un linguaggio schietto e diretto. Ha sempre lottato per raggiungere ogni traguardo, è stata il parlamentare e il ministro più giovane della Repubblica e rappresenta oggi in Italia l’unica donna leader di partito. Esprime il sovranismo di destra, la politica che mette al centro la patria e gli italiani di fronte ai dilaganti rischi che arrivano dall’estero, dalle multinazionali, da un’Europa egemone che ha tolto al paese quasi tutte le libertà di scelta, dalle ondate di stranieri e di immigrati irregolari che tolgono agli italiani lavoro e risorse. Proprio il suo modo di essere l’ha sempre messa al centro del mirino degli hater che l’hanno scelta negli ultimi anni come vittima sacrificale. Quando da non sposata annunciò al Family Day di essere incinta si spinsero addirittura ad augurare una brutta fine a lei e alla piccola Ginevra che aveva in grembo. E poi migliaia di attacchi, insulti e minacce su Facebook e altri social che più volte ha chiesto invano di rimuovere. In compenso Facebook ha bloccato la scorsa settimana il suo video promozionale della festa di Atreju come se la parola “patrioti” potesse contenere un messaggio xenofobo e razzista. Tutti fatti che l’hanno spinta a dichiarare: «Io sono oggetto di molto più odio rispetto alla Boldrini, ma nessuno si scandalizza».

Come potete leggere nell’intervista in questo numero di Tempi, Meloni non pensa affatto di essere il vaso di coccio tra Berlusconi e Salvini e non lesina critiche alla resistenze che i due leader alleati stanno mettendo in atto per arrivare a una legge maggioritaria o a una lista unica del centrodestra che possa far vincere le elezioni. Anzi, Meloni è talmente convinta della sua forza e delle sue capacità da non escludere di diventare il candidato di sintesi del centrodestra per Palazzo Chigi. Dipenderà da tanti fattori diversi: dalla legge elettorale, dai voti che riuscirà ad ottenere e dagli equilibri tra Lega e Forza Italia.

@ratiglia

Foto Ansa

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