
Undicesimo: predicare i diritti, discriminare le paritarie

Quando gli si chiede se ha riscontro del disinteresse dei giovani verso il mestiere di insegnare (ricapitoliamoli, i dati dell’ormai famigerato rapporto Ocse “Education at a glance 2019”: in Italia i giovani tra i 25 e i 34 anni rappresentano appena lo 0,5 per cento del corpo docenti, l’età media dei maestri nelle nostre scuole è 50 anni, di molto superiore alla media europea in ogni scuola di ordine e grado), Giovanni Sanfilippo, delegato per le Relazioni Istituzionali Faes, risponde con un dato solo: «Non abbiamo alcun riscontro di un “disamore” dei giovani verso l’insegnamento: nelle scuole Faes di Milano oltre il 25 per cento dei docenti sono ex alunni e i docenti con un’età inferiore ai 34 anni sono circa il 40 per cento».
IL TURNOVER IMPOSSIBILE
Ex alunni, cioè educati da qualcuno che ha reso attrattivo un percorso tra i più accidentati in Italia. Più giovani rispetto ai colleghi di Francia, Spagna o Regno Unito, e giovanissimi rispetto a quelli italiani, la maggior parte dei quali (il 59 per cento) è ultracinquantenne e dovrà essere sostituito entro i prossimi dieci anni. Ma come sarà possibile, se in Italia «si continuano ad utilizzare procedure di stabilizzazione dei precari, senza tenere conto delle reali esigenze delle scuole pubbliche statali e paritarie, e senza individuare tempi e percorsi certi che consentano ad un giovane laureato di scegliere il mestiere di insegnante»?
PREDICARE DIRITTI, ELARGIRE DISCRIMINAZIONI
Semmai andasse riscontrato un disamore (eufemismo) verso la funzione di una scuola che voglia essere decisiva per lo sviluppo di una società e determinante per la qualità dell’insegnamento, questo andrebbe ricercato, più che tra banchi e cattedre, nei palazzi: gli stessi preposti, non diciamo addirittura ad agevolare questa funzione ma almeno a non ostacolarla. L’ultimo esempio è di pochi giorni fa: «Contrariamente a quanto previsto dal decreto 126, convertito in legge 150/2019, il ministero dell’Istruzione ha preparato solo il bando straordinario per l’immissione in ruolo di 24 mila docenti nelle scuole statali e non il bando straordinario per l’abilitazione dei docenti delle scuole pubbliche paritarie». Ricordando l’ovvio, cioè che un’amministrazione «deve applicare le norme esistenti in toto e non solo parzialmente», Sanfilippo si è unito al coro di chi ha denunciato l’ennesima «palese discriminazione nei confronti dei docenti precari delle scuole pubbliche paritarie, e di conseguenza anche dei loro studenti e delle stesse scuole pubbliche paritarie». E promette: «Ci opporremo in tutte le sedi e con tutti i mezzi».
DISABILI, FAMIGLIE, NORME DI SERIE B
Perché non di sole aule e intraprendenza ma nemmeno di eterne prevaricazioni o discriminazioni può vivere una paritaria: quando, lo ribadiamo ancora una volta, nell’era dei nuovissimi diritti e della santa uguaglianza, leggiamo che lo Stato stanzia circa 20 mila euro per ogni alunno con disabilità che frequenta le scuole statali, mentre ne eroga meno di 2 mila alle scuole pubbliche paritarie che ne accolgono sempre di più, stiamo assistendo alla più vergognosa applicazione del principio “due pesi due misure”: considerare un determinato gruppo di studenti e famiglie «come individui di serie B, in violazione del diritto di scelta dei servizi ritenuti più idonei previsto dalla legge 104/1992». Eppure è proprio sul tema dei contributi erogati che «si concentra la miopia di chi si oppone in modo ideologico alle scuole pubbliche paritarie, dimenticando in malafede il diritto alla libertà di scelta educativa, riconosciuto da Costituzione, Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, Convenzione Europea, Unesco e Comunità Europea».
È ORA DI ANDARE PER VIE GIUDIZIARIE?
L’Italia non spende poco, spende male, soprattutto usando la scuola come un ammortizzatore sociale e senza un reale controllo della spesa «in assenza della definizione di costi standard» che, secondo Sanfilippo «dovrebbero essere il riferimento per tutta la scuola pubblica, sia statale che paritaria». Certo, tra le cause della crisi delle paritarie non ci sono solo i soldi, a volte c’è il «calo delle vocazioni, e le chiusure suscitano giustamente clamore perché coinvolgono anche istituzioni educative con una lunga storia», a volte l’incapacità di aggiornarsi (il delegato Faes ricorda che sono molte le realtà educative paritarie che in questi anni hanno imparato a «innovare, a investire nel corpo docente attraverso la formazione, a migliorare la propria offerta formativa»). Ma questo è ancora un altro tema, per affrontare quello relativo all’architrave del sistema pubblico dell’istruzione italiana Sanfilippo conclude: «Può essere che per riuscire a risolvere una volta per tutte il tema della libertà di scelta educativa, della discriminazione che non consente a tante famiglie una concreta libertà di scelta (in quanto costrette a pagare due volte per l’educazione, con la fiscalità generale e con le rette), si debba ricorrere alla via giudiziaria, con ricorsi e pronunciamenti sia livello italiano che a livello europeo».
Foto Ansa
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