“Ungheria. Un paese libero”: smascherate le balle dei giornali sulla Costituzione “oscurantista”

Di Redazione
31 Gennaio 2012
Sfatiamo alcuni miti cavalcati dalla stampa internazionale sulla Costituzione oscurantista, omofoba, fascista, antidemocratica e liberticida.

Ungheria. Un paese libero” è il titolo di un pamphlet a cura di Andrea Camaiora (fondazione Cristoforo Colombo per le Libertà). Una sorta di diario dedicato al popolo magiaro, che nella storia ha dovuto scontrarsi con avversari temibili, ma che ne è sempre uscito a testa alta. A margine delle tempesta mediatico-finanziaria che ha colpito il paese, Camaiora mette in fila una serie di spunti utili a inquadrare gli avvenimenti ungheresi e a sfatare qualche mito cavalcato dai media internazionali.

ELEZIONI
Quando il primo governo Orbàn perse le elezioni generali nel 2002, i parametri macroeconomici ungheresi erano vicini ad adempiere i criteri di Maastricht e l’introduzione dell’euro sembrava un obiettivo realistico. In particolare il debito pubblico era sostenibile perché assestato al 53% del Pil. I successivi governi socialisti-liberali hanno dilapidato questo patrimonio e accumulato disavanzo e debito durante gli anni della crescita. E quando è arrivata la crisi globale nel 2008? Ha trovato l’Ungheria in una posizione estremamente vulnerabile. L’allora governo (Gyurcsany) ha chiesto aiuto alla Commissione Europea e al Fmi già nel novembre del 2008. Così, ben prima della Grecia, l’Ungheria è diventata il primo stato membro dell’Unione a essere salvato. Severe misure di austerità sono seguite nel 2009. Anche per questo i cittadini hanno concesso all’alleanza formata dal Fidesz (partito moderato di centrodestra, di Viktor Orbàn) e dal Kdnp (partito cristiano democratico centrista) una maggioranza eccezionale, di due terzi del Parlamento. In grado quindi di apportare riforme attese da 21 anni (ovvero dalla caduta del comunismo). Nessuna dittatura, ma certo un mandato forte: complice lo scontento della popolazione rispetto alla coalizione liberal-socialista precedente, Orbàn è stato eletto per cambiare strutturalmente il paese. I poteri della Corte costituzionale torneranno pieni quando il disavanzo pubblico (che attualmente è pari all’80 per cento del Pil) scenderà sotto il 50 per cento.

COSTITUZIONE
In questo senso nascono anche le modifiche alla Costituzione, risalente al 1949 (varata sotto il governo di Mátyás Rákosi, che amava definirsi «il miglior discepolo di Stalin»: fece incarcerare oltre centomila oppositori politici). La nuova Costituzione è stata adottata dal Parlamento ungherese nell’aprile 2011 ed è entrata in vigore il 1° gennaio 2012. Ha come scopo principale quello di completare la transizione democratica iniziata nel 1989/1990, sostituendo una Costituzione che è stata espressamente prevista come transitoria. E non tutti sanno che l’adozione è stata preceduta da un’amplia consultazione pubblica. E internazionale, la “Venice Commission” (commissione europea per la democrazia attraverso il diritto) ha avanzato delle osservazioni, alcune delle quali sono state accolte durante il processo legislativo («La Commissione si compiace del fatto che questa nuova Costituzione stabilisca un ordine costituzionale basato sulla democrazia, lo Stato di diritto e la tutela dei diritti fondamentali… Un particolare sforzo è stato fatto per seguire da vicino le tecniche e il contenuto della Cedu»). L’obiettivo non era quindi quello di cementare il potere dei partiti di governo, ma di ancorare il sistema economico e legale a certi valori e norme. Un esempio? Il freno all’indebitamento: questa Costituzione è stata tra le prime a sancire la regola d’oro sulla responsabilità politica fiscale (che ora sembra diventata uno degli elementi essenziali di una nascente nuova unione economica europea). E le radici cattoliche? Oscurantismo? Probabilmente no. Il discorso dell’ambasciatore d’Ungheria presso la Santa Sede Gabor Gyôriványi, che rivendica i valori cristiani contenuti in una Costituzione controcorrente e avversata da tutta Europa, è stato pubblicato sull’Osservatore Romano del 9 luglio 2011. E Benedetto XVI non ha mancato di sottolineare che «la fede cattolica fa senza dubbio parte dei pilastri fondamentali della storia dell’Ungheria». Se non bastasse, nel silenzio dei media internazionali, sabato 21 gennaio gli ungheresi sono scesi in piazza per manifestare pacificamente il proprio sostegno al governo in carica e alle decisioni del Parlamento di riformare la Costituzione. Secondo alcuni osservatori non erano poche migliaia, come i manifestanti che hanno protestato contro il premier e a cui le Tv hanno dato ampio rilievo, ma si trattava di circa un milione di persone. 

NAZIONALISMO
C’è chi si è indignato per l’accento posto nella Carta sulla identità magiara. Si è letto che si sarebbe voluto con ciò «ammonire certe minoranze come zingari ed ebrei». Ma nel preambolo della nuova Costituzione si legge: «Consideriamo le nazionalità e i gruppi etnici che vivono in Ungheria parti costituenti della nazione ungherese». Infatti vengono protette le lingue delle minoranze etniche nel paese, e l’articolo XIV sancisce che nessuno può essere discriminato per la razza.

INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA
Secondo molti quotidiani la nuova Costituzione ungherese mette in pericolo il diritto delle donne all’aborto legale perché in essa sta scritto: «La vita del feto sarà protetta dal momento del concepimento». Si tratta quasi della stessa frase contenuta nella legge che regola l’interruzione delle gravidanze in Ungheria, in base alla quale dal 1953 a oggi sono stati effettuati milioni di aborti. In Ungheria le interruzioni di gravidanza equivalgono a quasi il 50 per cento delle nascite (attualmente 40 mila aborti procurati all’anno contro 90 mila nascite). La campagna pro‐life (lanciata dal partito di centrodestra del premier Viktor Orban, attraverso manifesti in cui un feto esclama: «Capisco che tu non sia pronta per me, ma ti prego dammi in adozione, lasciami vivere») in parte finanziata dall’Unione Europea, è stata bocciata dalla vicepresidente della Commissione europea Viviane Reding. La Reding ha spiegato che questa iniziativa «non è in linea con i progetti presentati dalle autorità ungheresi per ricevere i finanziamenti di Bruxelles. Gli Stati membri dell’Unione Europea non possono usare i fondi comunitari per pubblicità contro l’aborto. Per tale motivo, l’esecutivo dell’Unione Europea ha chiesto a Budapest di rimuovere tutti i manifesti, se non vuole incorrere in sanzioni finanziarie». Il governo di Budapest ha detto di aver agito contro il denatalismo post comunista che ha portato l’Ungheria ad avere i tassi di nascita fra i più bassi del mondo.

OMOFOBIA
E l’accusa di omofobia? La Costituzione recita: «L’Ungheria proteggerà l’istituzione del matrimonio inteso come l’unione coniugale di un uomo e di una donna». Oltre al diritto del singolo Stato a disciplinare queste materie in base alla sensibilità della maggioranza dei cittadini (per questo il matrimonio omosessuale è legittimato solo in sette paesi su quarantasette) va notato che Budapest, come molti altri paesi europei, dispone di una legge che riconosce le “unioni civili”, comprese quelle fra persone delle stesso sesso.

BRUXELLES
Il gove
rno magiaro è stato in questi mesi duramente criticato, ma è la Commissione europea che nel 2010 ha ribadito ai paesi dell’Europa dell’Est la necessità di voltare pagina rispetto ai regimi comunisti che per tanti anni hanno imposto la loro dittatura oltre la Cortina di ferro. Così riporta una relazione della Commissione europea al Parlamento e al Consiglio del 2010: « Secondo le informazioni fornite alla Commissione, solo gli Stati membri interessati svolgono attività educative e di sensibilizzazione sui crimini commessi dai regimi totalitari comunisti. Siti commemorativi e monumenti dedicati alla memoria dei crimini perpetrati dai regimi totalitari esistono in pratica in tutti gli Stati membri. In quasi tutti gli Stati membri che sono passati per esperienze totalitarie si trovano luoghi di martirio, campi di concentramento e di sterminio. In alcuni Stati membri, ad esempio (Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Romania, ecc.), vi sono musei tematici dedicati ai crimini perpetrati dai regimi totalitari comunisti».

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