
U.S.A. e mediorente
Durante la passata settimana, l’argomento che ha dominato le notizie nazionali negli Usa è stata la violenza in Medio Oriente, incluso l’attacco terroristico alla nave americana. In questo conflitto, gli americani sono istintivamente portati a prendere le parti di Israele. Il motivo è che hanno maggiori opportunità di ascoltare le ragioni israeliane data la forte presenza ebraica nei media nazionali e poi simpatizzano per l’attivismo israeliano, considerato come un frutto comprensibile dell’esperienza dell’Olocausto, quando il mondo intero ha abbandonato gli ebrei. Inoltre, Israele è percepito come un alleato degli Usa. E, in aggiunta a tutto questo, la corrente più vitale del protestantesimo americano, quella Evangelica, vede una continuità tra l’Israele moderno e quello biblico, perciò riconosce il diritto israeliano alla nazione e alla terra come proveniente dalla volontà di Dio (gli Evangelici credono che Cristo ritornerà quando la nazione ebraica sarà convertita al cristianesimo ed è per questo che appoggiano fortemente il nazionalismo in Israele). C’è maggiore vicinanza ai palestinesi tra i cattolici americani e, paradossalmente, il motivo è che sia i cattolici, sia gli ebrei arrivati negli Usa hanno dovuto sopportare discriminazioni e si sono sentiti in competizione nella lotta per essere accettati, il che ha indotto i cattolici ad assumere i pregiudizi dell’establishment americano. Ebrei e cattolici hanno fatto a gara per conquistarsi un’influenza all’interno del partito Democratico, da entrambi considerato l’unico strumento per combattere le politiche discriminatorie dell’establishment – che veniva identificato col partito Repubblicano. Perciò cattolici ed ebrei hanno avuto un grande peso nella difesa dei lavoratori americani attraverso i sindacati e nel sostegno alle politiche di welfare del “New Deal” di Roosevelt. Dopo la seconda guerra mondiale, entrambi i gruppi sognavano di influenzare la politica estera americana nell’interesse della propria patria d’origine, gli ebrei per sostenere il nuovo stato d’Israele, i cattolici contro la minaccia comunista che dominava l’Europa dell’Est. In questo sforzo, i cattolici americani si sono dimostrati preoccupati soprattutto della difesa delle proprie conquiste nella società e hanno finito per perdere il senso di appartenenza a un popolo che va ben oltre i confini degli Usa. Gli ebrei, d’altra parte, hanno identificato nel liberalismo secolare la difesa dai tentativi della maggioranza cristiana di determinare la cultura americana e non sono stati capaci di distinguere tra cristianità cattolica e protestante, mentre i cattolici hanno perlopiù assunto la concezione protestante della cultura. Il risultato è che entrambe le parti non sono riuscite a riconoscere né ad approfondire molte preoccupazioni ed esperienze comuni, e ciò ha impedito loro di lavorare insieme per generare una cultura capace di eliminare gli aspetti disumani del secolarismo radicale (proprio di recente, un mio amico ebreo, piuttosto impegnato in politica, mi ha confessato che sta cominciando solo adesso ad accorgersi della differenza tra cristianità cattolica e protestante e a rendersi conto di quanta parte del pensiero ebraico sia stata influenzata da questa incomprensione, finendo per assumere il punto di vista protestante). Così, invece di lavorare insieme agli ebrei per costruire un partito Democratico dove venisse dato meno spazio al secolarismo, molti cattolici hanno cominciato a sostenere il partito Repubblicano – quando quest’ultimo ha riconosciuto nelle preoccupazioni culturali dei cattolici una fonte di voti. Anche alcuni ebrei, chiamati politicamente “neo-conservatori”, sono passati al partito Repubblicano e oggi sono tra coloro che cercano di renderlo più sensibile e aperto ai bisogni delle minoranze e dei poveri. Ma contatti più frequenti e il reciproco riconoscimento dell’esperienza di essere popoli diversi in una cultura “straniera”, stanno mettendo insieme i cattolici e gli ebrei anche all’interno del partito Democratico, specialmente ora che l’attuale amministrazione democratica sembra aver spinto lo Stato d’Israele a risolvere con un compromesso le questioni di sicurezza nazionale. Attualmente Clinton non è molto popolare tra questi ebrei, che al contrario ritengono Gore più vicino alle proprie preoccupazioni. L’influenza palestinese nella politica americana è ovunque minima, e per questo motivo nessuno riconosce il valore delle loro rivendicazioni. Se i palestinesi presenti negli Usa troveranno il modo di legare i propri interessi al processo di crescente cooperazione tra cattolici ed ebrei americani riguardo la battaglia culturale in America, allora sarà molto più facile sciogliere l’ignoranza e la paura che oggi oscura le loro legittime rivendicazioni.
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