
Tentar (un giudizio) non nuoce
Utero in affitto e adozioni gay: serve più realismo (anche cattolico)

[afto]
Viviamo proprio in un mondo che funziona al contrario. Un tempo era prassi che un figlio avesse tanti fratelli e solo due genitori, oggi è diventato normale che non abbia più fratelli, ma un buon numero di genitori diversi.
La modernità, che non corre sugli stessi binari del progresso, ha stravolto prassi consolidate che, con tutti i limiti umani, si basavano sul buon senso. Così mentre nel Novecento tutti riconoscevano alcuni principi e valori etici, considerandoli comunemente condivisi, anche nell’esercizio della comprensione di quelle fragilità che non riuscivano a trovare coerenza tra dottrina e realtà, il nuovo Millennio ha sradicato persino questa minima base comune. Sotto il nome della libertà, ogni desiderio è diventato pretesa, rivendicazione, diritto. Al tempo stesso ogni caduta è diventata motivo di rigida intolleranza.
Un esempio di questo mondo al contrario è ben rappresentato dal dibattito sull’utero in affitto e sulle adozioni da parte delle coppie gay. Ogni discussione, ogni riflessione sui temi eticamente sensibili richiede però un giudizio capace di mondare l’istinto dell’arroccamento ideologico in cui, molto spesso, anche i cattolici si rintanano facendo discorsi che riecheggiano, nei toni e nei contenuti, persino le parole di Putin.
Da padre adottivo non ho alcun dubbio nell’affermare che il soggetto da tutelare sia, in primis, il minore e che sia pertanto indispensabile individuare cosa sia concretamente necessario mettere in atto per il suo bene e per la sua crescita, e non quello che sentimentalmente viene sbandierato come interesse del soggetto più debole ma che in realtà rappresenta esclusivamente la tutela dell’egoismo parziale degli adulti.
Detto questo, dobbiamo avere la capacità di fornire una risposta ai fenomeni che si stanno diffondendo sempre più rapidamente nella nostra società e che, ad oggi, non possono essere regolati. Eludendo questo impegno, presteremo il fianco proprio a questo mondo al contrario in cui viviamo, riservando ai cattolici il ruolo di predicatori moralistici capaci solo di assomigliare a prefiche inascoltate, schiacciate su principi che non guardano più a cosa accade sulle strade dell’umano.
Cosa occorre dunque? Quale compito spetta alla politica? Giovanni Paolo II affermava che «nel farsi carico nella condizione dell’uomo contemporaneo, è necessario che l’intelligenza della fede diventi intelligenza sulla realtà». Questa è la strada! Chi ha uno sguardo cristiano sulla “quotidianità degli uomini” deve saper tradurre questo principio in proposte di legge e di disciplina amministrativa. Proporre norme che impediscano, ad esempio, qualsiasi automatismo come la registrazione all’anagrafe di fatti avvenuti in Paesi stranieri non riconosciuti dalla nostra legislazione, ma al contempo che sappiano fornire una risposta a quei bambini che non hanno colpe e che non possono essere chiamati a pagare un prezzo per solo il fatto di trovarsi in una coppia omogenitoriale.
Con la stessa logica sarà fondamentale trovare adeguate risposte di natura civile per tutti quegli adulti che vivono forme di affettività differenti da quelle tradizionali. Non serve alcun strappo al Magistero ma semplicemente un cuore aperto sulla realtà e sugli uomini. Solo così i cattolici potranno tornare a far valere la loro parola, in politica, nella società, dentro le Istituzioni.
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