
Vaccino antiCovid e no-vax: alle radici della questione

In una delle varie vite che Dio mi ha fatto dono di vivere fino ad oggi, ho avuto modo di vedere bambini e adulti storpi trascinarsi nella polvere rossa delle strade del Sahel, ridotti in quelle condizioni dalla poliomielite. Quando io vedevo quelle scene il vaccino antipolio in Italia veniva somministrato già da 30 anni, ma in molti paesi africani campagne vaccinali estese sono state fatte solo negli ultimi vent’anni. Sono pienamente consapevole che il crollo dei tassi di mortalità in tutti i paesi del mondo, che ha fatto sì che la popolazione aumentasse dai 2,5 miliardi del 1950 ai 7,8 miliardi di oggi (5 miliardi e passa in più, mentre cento anni prima nello stesso arco di tempo la crescita era stata fra i 500 e i 600 milioni), è dovuto principalmente a tre fattori: le migliorate condizioni igieniche, gli antibiotici e i vaccini.
Esperienze penose in Africa e coscienza dei risultati dei progressi della medicina non mi impediscono di cercare senza animosità – ma anche senza particolari simpatie – le ragioni profonde, valoriali del fenomeno dei no-vax, che si ripropone cospicuo nella circostanza rappresentata dalla pandemia da Covid. A infervorare gli animi contribuisce in misura decisiva la cacofonia dello scombiccherato governo italiano, dove si alzano voci a proporre il vaccino anti-Covid obbligatorio per tutti o misure di confinamento o di esclusione per chi si rifiuta di farlo, quando ancora le dosi non sono materialmente disponibili né lo sono tutte le informazioni scientifiche indispensabili a valutare i pro e i contro. Dal punto di vista politico, amministrativo e organizzativo le due “minacce” suddette fanno ridere. Secondo il Rapporto Vaccini dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) nel corso del 2018 (ultimo anno per il quale sono disponibili dati completi) in Italia sono state somministrate più di 17 milioni di dosi di vaccini di tutti i tipi. Spiegatemi voi come farà lo Stato italiano a somministrare 60 milioni dosi di vaccino anti-Covid in poche settimane – perché se ci mette di più infrange i diritti civili dei cittadini vaccinati tardivamente, che si troverebbero esclusi dalle libertà di ogni tipo riacquistate dai vaccinati – quando ci mette un anno intero a fare 17 milioni di punture. Sessanta milioni di dosi destinate a diventare 120 milioni con il primo richiamo e poi addirittura 180 e 240, perché già si sa che l’effetto protettivo durerà pochi mesi, e dunque saranno necessari nuovi cicli vaccinali. Spiegatemi voi come farebbe lo Stato italiano a rendere effettiva la vaccinazione obbligatoria nei confronti di quell’11 per cento di italiani – secondo un sondaggio Sgw – che dichiarano di non volersi sottoporre alla medesima nemmeno in caso di obbligo di legge: manderà carabinieri e infermieri a caccia di 6 milioni di persone renitenti, e inietterà con la forza una sostanza nei loro corpi? Spiegatemi come lo Stato italiano potrebbe organizzare un sistema amministrativo efficiente di esclusione da scuole e luoghi di lavoro, mezzi di trasporto, esercizi pubblici, cinema e teatri, stadi e palazzetti, luoghi di culto e musei di coloro che non possono dimostrare di essere stati vaccinati, quando questo stesso Stato dopo tre anni non riesce nemmeno a far rispettare la cosiddetta legge Lorenzin, che prevede multe e l’esclusione dalle lezioni per gli studenti che non hanno assolto l’obbligo vaccinale! Nessun governo italiano mai si impelagherà nelle suddette scene da teatro dell’assurdo, nemmeno lo psichedelico governo Conte II, ma nel frattempo l’isteria verbale pro-vax ha rinfocolato l’isteria no-vax.
È giusto essere prudenti di fronte a nuovi farmaci che non hanno seguito il consueto iter, che nel caso dei vaccini richiede fra i 5 e i 10 anni, ma non bisogna nemmeno esagerare con l’allarmismo in relazione a potenziali effetti collaterali dannosi. Lo stesso Rapporto Vaccini 2018 informa che su 17 milioni di dosi somministrate, sono state riferite 5.536 reazioni avverse, e fra queste quelle classificate come “gravi” sono 540. Fra queste 540, sono 26 quelle che hanno comportato “pericolo di vita”. Nella prefazione al Rapporto si legge che «(…) sono stati segnalati pochissimi eventi gravi e nessun decesso ritenuto almeno potenzialmente correlabile con la vaccinazione. (…). I solidi dati del nostro sistema di vigilanza mostrano che i vaccini, come tutti i medicinali, non sono esenti da rischi, ma che questi sono di gran lunga inferiori ai rischi legati alle malattie che i vaccini efficacemente prevengono». I vaccini sono mediamente più sicuri della maggior parte degli altri farmaci di cui facciamo normalmente uso o che ci vengono somministrati in casi di patologie acute. Per questo risultano poco convincenti le obiezioni di carattere medico-sanitario dei no vax, che amplificano il peso e l’importanza delle reazioni avverse, e quando vengono messi di fronte all’evidenza dei dati spostano il discorso sui coadiuvanti dei vaccini, sui sali di alluminio che avrebbero effetti tossici. Ma anche su questo versante gli studi effettuati non avvalorano l’allarmismo no-vax: l’organismo umano espelle i sali di alluminio introdotti con le vaccinazioni come espelle quelli introdotti con l’alimentazione.
Un argomento più politico è quello che punta il dito contro le grandi aziende farmaceutiche: sarebbero loro a volere la continua estensione dell’obbligo vaccinale per i minorenni (negli ultimi anni i vaccini obbligatori sono passati da 3 a 10 o 11 in molti paesi) per poter aumentare il loro giro d’affari. Questo argomento attira consensi perché senz’altro Big Pharma non è il nome di un ordine monastico contemplativo, e dalle grandi multinazionali farmaceutiche che fatturano miliardi di dollari o di euro non ci si può aspettare che agiscano soltanto per motivazioni filantropiche: nei soli Stati Uniti, fra il 1991 e il 2012 le grandi aziende farmaceutiche hanno patteggiato cause legali versando indennizzi per un valore di 19 miliardi e 750 milioni di dollari! Tuttavia l’industria farmaceutica ha molto più da guadagnare dalla produzione di rimedi per le malattie che da quella di vaccini. Rapportati agli altri farmaci moderni, i vaccini sono un prodotto economico, nonostante gli aumenti di prezzo degli ultimi tre anni successivi alla legge Lorenzin, che hanno naturalmente causato polemiche. Nel 2017 il Servizio sanitario nazionale (Ssn) ha speso 487,4 milioni di euro per le vaccinazioni e 21,35 miliardi per tutti gli altri farmaci; i vaccini cioè rappresentano il 2,3 per cento di tutta la spesa farmacologica a carico del Ssn, e risolvono molti più problemi del restante 97,7 per cento. Se io fossi il presidente del Consiglio di amministrazione di una multinazionale farmaceutica affamato di profitti, cercherei di produrre un costoso antivirale piuttosto che un vaccino. Ne sanno qualcosa i malati di Aids, una vecchia storia…
Quali sono allora le vere motivazioni dei no-vax e dei diffidenti in genere, quelle profonde che loro stessi forse non riconoscerebbero? Credo di averlo capito riflettendo sul fatto che la provincia italiana con la più bassa copertura vaccinale è quella di Bolzano: in Italia la copertura vaccinale per morbillo, parotite e rosolia sta al 94,5 per cento, ma nella provincia di Bolzano arriva appena al 75 per cento. Non stiamo parlando di un quartiere socialmente disastrato di una grande metropoli, né di una sacca rurale arretrata, ma di uno dei territori più civili d’Italia. Un articolo de Linkiesta del marzo 2018 riportava: «La resistenza è più forte soprattutto nelle zone di montagna e in quelle rurali, dove i gruppi di attivisti no vax hanno messo radici. Al paese venostano di Glorenza, secondo i dati riportati dall’Alto Adige, spetta per esempio il primato di zero vaccinazioni nei primi 24 mesi di vita dei bambini». La provincia di Bolzano è anche quella in Italia dove si consumano meno farmaci di tutti i tipi e dove maggiore è il ricorso all’omeopatia e all’erboristeria.
Chi sono questi altoatesini/sudtirolesi che non si vaccinano e che comprano poche medicine in farmacia? Sono persone che si concepiscono autonome e indipendenti, che identificano la propria vita e quindi anche la propria salute con la famiglia, il villaggio e la valle che abitano, e perciò non vogliono dipendere dal sistema, non vogliono essere inglobati nel meccanismo industriale e centralistico statale che espropria la persona della gestione della sua salute per meglio garantirgliela. La vaccinazione obbligatoria tende a massificare le persone per il fatto di trattarle tutte indistintamente allo stesso modo e le reifica nella misura in cui le riduce alle reazioni del loro sistema immunitario. Nella vaccinazione viene effettuata una procedura medica su un individuo sano, viene praticata una cura a qualcuno che non è un malato. Applicando un’ottica utilitaristica: qualche soggetto subirà danni, ma l’immensa maggioranza ne trarrà un grande beneficio. Il padre e la madre dello sfortunato bambino che avrà patito un danno psicofisico permanente dalla vaccinazione, però, proveranno orrore davanti all’inoppugnabile logica statistica. È comprensibile che alcuni provino una sensazione di spossessamento davanti a tutto questo.
Nelle grandi città italiane il fenomeno no-vax può coincidere con una filosofia di vita anarco-individualista, ma in Alto Adige e nelle aree di lingua tedesca a cavallo fra Svizzera, Austria e Germania coincide piuttosto con un una dimensione comunitaria della vita che si contrappone al collettivismo sanitario incarnato dalle vaccinazioni di massa.
Ha scritto saggiamente Olivier Rey su questo argomento:
«Se si considera che la salute consista nello stare bene, ovvero letteralmente nel portarsi bene da sé (in francese le due espressioni coincidono: se bien porter – ndt), senza bisogno di ricorrere a un’assistenza medica, allora una salute che presuppone la dipendenza da un gigantesco sistema medico non è tale. È in questo senso che Ivan Illich, nel suo libro Némésis médicale (1975), ha potuto formulare la considerazione che il mondo contemporaneo, collocando la vita intera, dal concepimento alla morte, sotto sorveglianza medica non ha migliorato la salute generale, ma al contrario l’ha degradata in misura drammatica. Una buona medicina doveva, secondo lui, essere una medicina “conviviale”, cioè (…) i mezzi messi all’opera dovevano restare alla misura degli individui e delle comunità locali. Un tale punto di vista è perfettamente sostenibile, a condizione però di accettare di sopportare sofferenze che la medicina moderna potrebbe alleviare, di incorrere in decessi che essa avrebbe potuto evitare».
Due cose meritano di essere evidenziate in questa citazione. La prima è che i media tendono a presentare i no vax come esponenti di tendenze della destra politica, ma in realtà le loro motivazioni più profonde sono state formulate da intellettuali attribuiti a torto o a ragione alla sinistra come Ivan Illich e Michel Foucault, che per primo ha formulato i concetti di bio-politica e di bio-potere. La seconda è che giustamente Rey mette in evidenza la drammaticità del rapporto dell’uomo con la propria salute: gli esseri umani sembrano costretti a dover scegliere fra una sanità conviviale e personalistica che non protegge dalla morte precoce e una sanità moderna massificata e disciplinare che promette una vita lunga e in gran parte efficiente, ma irregimentata. I no-vax interpretano la nostalgia per un mondo dove le malattie erano affrontate sulla base delle risorse disponibili al livello della comunità e il malato era accompagnato nel cammino verso la guarigione o verso la morte dall’assistenza dei familiari e dalle visite degli amici e del prete; ma non sembrano voler trarre le conclusioni delle loro premesse.
Le persone di buon senso chiederanno se non sia possibile una via di mezzo fra la sanità conviviale ma poco efficace del buon tempo andato e quella contemporanea ipertecnologizzata, dove il singolo salva la vita solo al prezzo di lasciarsi interamente assorbire nell’apparato tecno-scientifico, che a sua volta è al servizio di un sistema industriale globale. Dovrebbe poterlo essere. La colpa della mancata conciliazione, però, non è dei no- vax: loro sono solo il sintomo di un problema. Il problema è l’egemonia del tecnopolio, che crea un sistema spersonalizzante, antiegualitario perché i suoi prodotti sempre più costosi continueranno a scavare il solco fra ricchi e meno abbienti, e la cui sostenibilità dal punto di vista delle risorse di tutti i tipi resta un grosso punto interrogativo.
Foto Ansa
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