Varenne è una lenza. Certa stampa sa di flatulenza

Di Fred Perri
31 Gennaio 2002
Ne ho fatte tante nella mia vita, ma il tifo per un cavallo non l’avevo mai fatto, al massimo avevo tifato per le bistecche del medesimo.

Ne ho fatte tante nella mia vita, ma il tifo per un cavallo non l’avevo mai fatto, al massimo avevo tifato per le bistecche del medesimo. Eppure, davanti al trionfo di Varenne al Prix d’Amerique, ho perso il mio tradizionale cinismo. Mia moglie, osservando il mio delirio, mi ha chiesto, ironica: «Da quando ti interessi di ippica?». «Al posto, donna – le ho sibilato – questa non è ippica, questo è il Capitano». Devo dire che Varenne mi piace: ha faticato, ha vinto e adesso va in pensione a spassarsela con le femmine. A noi, al massimo, toccherà la briscola.

Poi Varenne mi piace perché ha dato una lezione ai francesi, ma soprattutto a tutti quegli italiani che affollano le pagine dei quotidiani parigini per dire male del loro Paese. Quegli stessi quotidiani che lunedì, giorno del trionfo di Varenne, hanno messo a stento la notizia. Aveva vinto un (cavallo) italiano e quindi ciccia. Mentre noi mettiamo il naso al vento per ogni flatulenza che arriva d’Oltralpe. Oh capitano, mio capitano.

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