
Venezuela al buio. Così hanno ridotto il paese Chavez e Maduro

«La situazione in Venezuela ha raggiunto il livello più basso di degrado degli ultimi diciassette anni. Ormai il fallimento del comunismo è sotto gli occhi di tutti». Bernardo Guinand Ayala, leader di Asociacion Civil Impronta, fondazione che fornisce servizi alla salute per i poveri in Venezuela, racconta a tempi.it il dramma e la ribellione dei cittadini che in questi giorni stanno raccogliendo le firme per la revoca del potere al presidente Nicolas Maduro dopo quasi vent’anni di dittatura comunista.
Per far fronte alla crisi energetica Maduro ha imposto la chiusura degli uffici statali che rimarranno aperti solo due giorni alla settimana, mentre le scuole termineranno il giovedì anziché il venerdì. Cosa sta succedendo?
Per molti anni sono mancati gli interventi necessari alla manutenzione, alle infrastrutture e alla pianificazione della domanda di energia con il conseguente regresso della capacità energetica, che nei momenti di siccità estrema, come quello dell’inizio del 2016, si fa sempre più acuto. Inoltre, come accaduto per l’industria petrolifera, migliaia di professionisti altamente qualificati hanno abbandonato il settore energetico in opposizione al regime e sono stati sostituiti da uomini fedeli al governo, ma inesperti che hanno prodotto il deterioramento dell’industria. Come se non bastasse, il settore elettrico è al centro di diversi episodi di corruzione emersi alle cronache.
Quali sono le altre emergenze cui dovete fare fronte?
Senza alcun dubbio la crisi alimentare e quella farmaceutica: siamo di fronte a una situazione cui non avremmo mai immaginato di arrivare. La colpa, anche in questo caso, è della politica fallace e altamente populista che ha distrutto l’apparato produttivo locale: il partito del defunto presidente Chavez ha fondato il suo discorso sulla contrapposizione, creando un nemico pubblico per imporsi come salvatore. E siccome fra i suoi nemici peggiori ha messo gli imprenditori, ha mantenuto un cambio monetario molto basso in modo da favorire le importazioni e peggiorare la situazione dei produttori locali. Se a questo sommiamo le imposte e la politica dell’esproprio delle terre, si capisce perché la capacità produttiva del paese è scesa a livelli tanto drammatici. Chavez è morto senza vedere il collasso della sua politica fallimentare passato in eredità a Maduro. Tutt’ora, poi, la corruzione persiste. Infatti, il sistema di cambio ha generato una disparità enorme prodotta da tassi differenti: il settore militare del governo, ad esempio, compra a determinate valute rivendendo a prezzi maggiori su un mercato parallelo. Anche per questo nei negozi ci sono pochissimi alimenti, mentre coloro che sono “invischiati” con il governo, che acquista dollari a prezzi favoriti, hanno giri d’affari multimilionari. Tutto questo insieme alla malagestione governativa del settore agroalimentare, alla regolamentazione dei prezzi sotto quelli di produzione e all’inflazione incontrollata hanno portato il 76 per cento dei venezuelani a vivere in condizioni di povertà.
Come fa la gente a sopravvivere?
Il problema è che l’incertezza e la paura sono destinate a crescere se la situazione non cambia entro un margine di tempo ragionevole. E siccome oggi il salario medio non è sufficiente nemmeno per garantire la copertura delle spese minime di sussistenza, si è generato un contrabbando in cui alcune persone, in maggioranza povere, comprano i prodotti base a prezzi regolamentati per poi venderli ad un costo molto superiore. Il che non fa che peggiorare il problema e la corruzione. Perciò la classe medio bassa è costretta a passare ore in fila fuori dai negozi per compare anche un solo alimento. Ogni giorno che passa la situazione peggiora, fino al punto che l’istituto nazionale statistico Encovi ha dichiarato che «più di 3 milioni di venezuelani mangiano due volte al giorno o anche meno».
Oltre alle proteste contro il governo aumentano gli episodi di sciacallaggio e rimangono altissimi i livelli di criminalità.
Sì, la violenza è un altro problema serissimo causato dall’impunità, da un sistema politico debole, dalla corruzione, da un potere giudiziario inefficace e da un sistema carcerario caratterizzato dal sovraffollamento, in cui la legge è dettata dagli stessi detenuti. Nello stesso tempo, il controllo delle armi è così inesistente che è più facile comprare una pistola di un paio scarpe. Anche il messaggio violento degli alti funzionari di Stato ha profondamente modificato la morale dei venezuelani, per cui un bambino a scuola è capace di scrivere in un compito, come capitato, che «da grande voglio fare il delinquente». Il problema della fame può fare da polveriera alle rivolte sociali, sebbene il governo l’abbia sempre usato per imporre il suo potere dando la colpa all’opposizione. L’altra immagine che dimostra il livello di crisi a cui siamo giunti è quella del linciaggio frequente dei delinquenti da parte di una popolazione che cerca di farsi giustizia da sé.
Secondo un sondaggio di Datanalisis, il 63 per cento dei venezuelani vuole un cambio di governo e l’opposizione si è decisa a raccogliere le 195.721 firme necessarie a indire il “referendum revocatorio”. È realistico pensare che una dittatura durata 17 anni possa cadere democraticamente?
Fino a quattro giorni fa il numero delle firme era già di 2 milioni (oltre il 1000 per cento superiore al necessario per attivare il primo passo del “referendum revocatorio”). È evidente che i venezuelani vogliono un cambio di governo e che valutano in maniera molto negativa l’operato di Maduro. Ma se c’è una cosa che abbiamo imparato è che dobbiamo procedere un passo alla volta, perché la via pacifica, democratica ed elettorale non è né rapida né magica: sappiamo bene che il governo userà tutte le sue armi politiche ed economiche per cercare di continuare ad estendere il suo mandato sperando che il mercato petrolifero internazionale volga in suo favore.
Come potrebbe reagire Maduro a un’eventuale sconfitta referendaria?
È difficile dirlo data la quantità di interessi dei tanti funzionari di governo compromessi con episodi di corruzione, di violazione dei diritti umani, di narcotraffico, nascosti dietro la cortina del potere. Potere che, come sostengono molti analisti, riesce a mantenersi anche grazie a un sistema giudiziario totalmente asservito. Alle elezioni del 6 dicembre 2015, però, l’opposizione, nonostante l’avversità di tutti i poteri, riuscì ad ottenere una vittoria maggioritaria nell’Assemblea Nazionale, che ha fatto sperare in una soluzione pacifica e democratica contro quanti sostengono che la situazione non cambierà se non con un conflitto. Quindi qualche spiraglio di luce si intravede, sebbene ottenere il cambio del potere esecutivo non sia uguale a ottenere quello dell’Assemblea Nazionale e sebbene il cammino verso il referendum sia irto e pieno di trappole, dato il potere pubblico filo-chavista e le forti pressioni in difesa di Maduro. È anche sicuro che il presidente cercherà di prendere tempo con due pretesti: attendere il rialzo del prezzo del petrolio e rimandare il referendum.
Quali speranza ha il Venezuela di riprendersi?
La storia di questi ultimi diciassette anni di distruzione della nazione si è tradotta in disperazione per molti venezuelani. Da sempre abituati ad aprire le porte a tanti immigrati oggi esportano i loro talenti migliori in altri paesi cercando condizioni di vita migliori per la propria famiglia. Ma Vaclav Havel, grande fautore della democrazia ceca, ha parlato spesso di speranza così: «La speranza non è la convinzione che andrà bene, ma la certezza che tutto ha un senso, a prescindere dall’esito». La speranza non significa non riconoscere i problemi, ma che si può andare avanti pur nella fragilità. Faccio due esempi concreti: i giovani che non si sono messi in politica, oggi si stanno preparando a farlo, liberando i partiti per favorire un cambiamento e una democrazia solidi. Le organizzazioni sociali come la mia, invece, riconoscono il proprio ruolo determinante nella ricostruzione del paese con una vocazione specifica verso i settori più sfavoriti. E hanno capito che alleandosi fra loro e con il settore pubblico e privato sono già in grado dare risposte reali per mitigare la crisi.
Foto Ansa/Ap
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4 commenti
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Pur condividendo le conclusioni dell’articolo, chiamare “dittatura” un governo eletto in elezioni, a detta degli osservatori internazionali, ineccepibili, è sintomo di disonestà intellettuale.
Impossibile che a Tempi non siate a conoscenza del numero di volte in cui Chavez è stato eletto, a suon di voti, dal proprio popolo.
Vergogna.
Pensa un po’, lo diceva pure Fidel…
E pensate che qua in Italia c’abbiamo ancora chi sogna il comunismo.
E ce l’abbiamo pure qua, tra i troll che invadono questo sito per distribuirci le loro perle di saggezza.
Eh sì… quando pensano al Venezuela i nostri cari comunisti nostrani ce l’hanno piccolo… Maduro!
Cooosa?
Cosa state pensando???
Io intendevo il cervello…