Anche se adesso serve per il petrolio, il Venezuela resta una dittatura

Di Rodolfo Casadei
21 Marzo 2022
Il film documentario "A la calle" racconta errori e orrori del chavismo contro il proprio popolo. Da non dimenticare, ora che Biden tratta con Maduro
Venezuela proteste film
Una scena del documentario "A la calle" sulle proteste anti Maduro in Venezuela

Fra i testacoda più sensazionali nelle relazioni internazionali prodotti dall’invasione russa dell’Ucraina e conseguente guerra c’è sicuramente la ripresa dei rapporti fra Stati Uniti e Venezuela. Per ovviare ai deficit di forniture che si creeranno a causa delle sanzioni contro il gas e il petrolio russi decise dai paesi occidentali, Washington sta cercando di riallacciare i rapporti col governo di Caracas, contro il quale già a partire dal 2019 ha deliberato sanzioni commerciali che hanno colpito il settore degli idrocarburi. Metti le sanzioni (a Mosca), togli le sanzioni (al Venezuela) sembra essere l’orientamento dell’amministrazione Biden nel contesto della crisi attuale.

Verso un accordo tra Venezuela e Stati Uniti?

Ma c’è un problema: le sanzioni contro il paese latinoamericano sono state decise a motivo delle violazioni dei diritti umani e delle regole della democrazia da parte del regime del presidente Maduro, sulla cui testa pende addirittura una taglia da 15 milioni di dollari offerta dal Procuratore generale degli Stati Uniti per accuse di narcoterrorismo, traffico di droga internazionale e corruzione.

Un accordo fra Usa e Venezuela rappresenterebbe un’inversione a U della politica americana nei confronti del regime di Nicolas Maduro: insieme a molti altri paesi, Washington riconosce come legittimo presidente del Venezuela il capo dell’opposizione Juan Guaido e ha rotto i rapporti diplomatici col governo in carica. Per questa ragione Maduro è uscito raggiante dall’incontro con alti ufficiali dell’amministrazione americana, tuttora anonimi, avvenuto una settimana fa. «Fra noi c’erano le bandiere del Venezuela e degli Stati Uniti», ha raccontato, «ed erano davvero belle, l’una vicina all’altra, come dovrebbero sempre essere. Si è aperta una nuova opportunità. Abbiamo avuto un incontro rispettoso, cordiale e diplomatico. Questo è il tempo della diplomazia, della verità e della pace».

“A la calle”, un documentario da vedere

Coincidenza ha voluto che proprio nei giorni in cui è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina venisse proiettato in alcune sale di Roma e di Milano, per iniziativa dell’Istituto Bruno Leoni, il film documentario “A la calle”, che racconta le vicende venezuelane dall’ascesa al governo di Nicolas Maduro dopo la morte di Hugo Chavez fino alle proteste popolari della primavera 2019, attraverso interviste a gente comune e personalità politiche e filmati delle proteste. A Milano alla proiezione (il film è girato in spagnolo con sottotitoli in inglese) è seguito un dibattito al quale hanno preso parte Leopoldo Lopez, uno dei più famosi oppositori prima di Hugo Chavez e poi di Nicolas Maduro, che lo ha imprigionato per più di 5 anni fra il 2014 e il 2019, costringendolo infine all’esilio; Loris Zanatta, ordinario di Storia e istituzioni delle Americhe all’Università di Bologna e Tamara Taraciuk Broner, responsabile per le Americhe dell’organizzazione Human Rights Watch.

I due registi di “A la calle”, Nelson G. Navarrete and Maxx Caicedo, concentrano l’attenzione sulle proteste che mostrano un popolo che scende per strada (“a la calle”) per mancanza di cibo, medicine e di una moneta nazionale degna di questo nome. Ci sono gli esponenti politici di primo piano dell’opposizione (Juan Guaidó e Leopoldo López), la gente comune, gli esponenti della società civile, gli organizzatori delle proteste studentesche; ma anche un funzionario del regime che spiega e giustifica le politiche di Maduro, così come altri militanti e manifestanti pro-regime.

Gli errori di Chavez e Maduro

A collegare fra loro le immagini, le testimonianze e le interviste ci sono due “narratori”: l’economista venezuelano emigrato negli Usa Ricardo Hausmann, che spiega (parzialmente) gli errori di governo di Chavez e Maduro, e la direttrice di Human Rights Watch Tamara Taraciuk, che spiega come il regime abbia piegato le istituzioni e le leggi a suo vantaggio. Una parte del documentario è dedicata all’esodo di massa dei venezuelani, il più grande della storia in tempo di pace: 6 milioni di persone che hanno lasciato il paese e hanno cercato un’opportunità di vita in uno qualsiasi dei paesi delle Americhe, dal Canada al Cile.

«Il Venezuela, un tempo grande produttore petrolifero, oggi non riesce nemmeno a coprire la quota che l’Opec gli ha assegnato», spiega Zanatta. «Il regime ha ucciso la gallina dalle uova d’oro. Oggi solo un paio di governi in America Latina appoggiano il Venezuela, benché la maggioranza dei governi nel continente sia di sinistra. Perché in tutti i paesi sono presenti immigrati venezuelani che raccontano cosa è successo a casa loro, le opinioni pubbliche sono avvertite e i presidenti di sinistra assicurano: “il nostro modello non è il Venezuela”».

Il populismo chavista

Zanatta ha inquadrato la natura del populismo chavista ereditato da Maduro, che dopo la sconfitta alle elezioni parlamentari del 2017 dichiarò: «Continueremo a governare con l’aiuto del popolo e delle forze armate». «Quando Maduro dice “governeremo con il popolo e con le forze armate”», spiega Zanatta, «fa capire che solo alcuni fanno parte del popolo. Questo è il nocciolo ideologico del populismo: il popolo non siamo tutti, ma solo l’entità mitica che è nella testa dei leader; a norma di Costituzione tutti facciamo parte del popolo, ma nell’ideologia populista no. I leader populisti pensano e dicono: “Il popolo siamo noi. Noi incarniamo la patria, gli altri no”. Per questo i chavisti non hanno nessun problema con l’esodo di 6 milioni di persone dal Venezuela: il progetto di rendere il popolo omogeneo implica l’espulsione – attraverso crisi economiche, purghe ideologiche e repressione – di tutti coloro che non sono assimilabili. Espellere milioni di persone non dispiace affatto a un regime che vuole un popolo omogeneo e totalmente dipendente dal regime».

La struttura criminale del potere in Venezuela

Sui negoziati che inutilmente vanno avanti da anni per arrivare a una soluzione di compromesso Lopez si è espresso così: «Non ci sono alternative, il negoziato è necessario, ma sappiamo benissimo chi abbiamo davanti quando negoziamo: la struttura del potere in Venezuela è una struttura criminale. La struttura reale del potere in Venezuela non è quella ufficiale, ma una informale: è costituita da chi controlla il commercio della cocaina, da chi maneggia il commercio dell’oro, da chi tira i fili del contrabbando, da chi si occupa del riciclaggio del denaro sporco, da chi sta dietro alla tratta degli esseri umani. Dietro a ciascuna di queste strutture di potere economico sta il vero potere della dittatura di Nicolas Maduro. La dittatura si sostiene grazie a una struttura di potere criminale».

«Il negoziato è necessario, ma da solo non può portare a una soluzione positiva: è uno scenario che va accompagnato dalle pressioni. Senza pressione non c’è negoziato. È sbagliato pensare che per avere risultati dal negoziato bisogna abbassare la pressione: le cose stanno al contrario, il regime farà concessioni solo se è sotto pressione. Dopodiché possiamo discutere qual è il modo migliore di applicare le sanzioni».

Chissà cosa direbbe oggi, dopo la ripresa dei contatti fra governo venezuelano e amministrazione Biden.

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