
Venezuela: «Scontri e brogli voluti dal governo per nascondere la fine del chavismo»
L’inflazione durante il primo quadriennio del 2013 è salita sopra il 30 per cento di media annuale. La debolezza della moneta e il controllo dei prezzi hanno ridotto ulteriormente l’importazione degli alimenti di prima necessità. Tutto ciò si aggiunge alla crisi del settore agricolo, la cui produzione è in costante calo: quella del grano è scesa del 25 per cento, quella del riso del 34. Mentre il blackout dell’elettricità è ormai diventato routine. E a soffrire di più sono i poveri, anche a causa dell’incremento della criminalità e degli omicidi, che hanno raggiunto livelli insostenibili (20.000 morti nel 2012: più di un morto ogni mezza ora).
DEBOLEZZA DI MADURO. È in questo scenario che l’ex ministro degli Esteri del partito chavista, Nicolas Maduro, dopo la morte del “caudillo”, ha condotto la sua corsa presidenziale che tutti davano per vinta vista la popolarità del suo predecessore. Non a caso Maduro ha puntato l’intera campagna elettorale rievocando Chavez, definendolo il “Cristo delle Americhe”, “il Comandante Eterno”, attribuendogli persino il merito dell’elezione del primo Papa sudamericano e presentandosi come il figlio prediletto in grado di prendere in mano l’eredità del padre.
SORPRESA DI CAPRILES. Henrique Capriles, 41 anni, leader dell’opposizione e governatore della Regione di Miranda, giudicato da molti troppo debole, ha invece scelto una via così semplice che tutti gli analisti lo davano per spacciato: ha messo in fila, uno dietro l’altro, tutti i problemi del Venezuela. Con dati alla mano ha fatto notare il dramma della situazione, aumentato dall’assenza di Chavez ricoverato a Cuba, chiedendo al suo sfidante come intendeva risolverla: «Maduro non ha avanzato proposte e la gente, che non è stupida, ha capito che non ne aveva. Il fatto poi che non ci sia più il carisma dell’ex presidente ha contribuito a far cadere molte illusioni», spiega Luis Marquez uno studente universitario. È così che l’opposizione, che alle elezioni di sei mesi fa aveva perso di 10 punti percentuali, domenica 14 aprile è rimasta indietro solo per una manciata di voti: Maduro ha ottenuto il 50,6 per cento dei consensi, Capriles il 49,1. Una sorpresa per tutti: «Nessun analista avrebbe mai pensato a una svolta così repentina», conclude il giovane. «I brogli sono stati evidenti, li hanno visti tutti – spiega José Perez, un imprenditore della capitale – solo che gli osservatori internazionali sono qui in Venezuela come ospiti e vengono da Stati come Nicaragua, Uruguay, Argentina, Iran: tutti dipendenti dal nostro business».
ILLEGALITA’ E PAURA. Per questo Capriles ha chiesto che fossero ricontati i voti. E davanti al divieto di Maduro è accaduto di più: è scattata una protesta che ha portato il popolo in piazza, a protestare pacificamente. «Gli scontri sono stati infatti voluti dal partito chavista per intimidire l’opposizione con la repressione», precisa Perez. Il Venezuela non è mai uscito «dall’illegalità travestita da democrazia». Martedì scorso, ad esempio, a tutti i parlamentari dell’opposizione è stata tolta la possibilità di parlare, almeno fino a quando non riconosceranno Maduro come presidente. Anche gli incarichi nelle commissioni interne e nel Parlamento sono stati congelati. La Corte suprema, che nonostante la Costituzione preveda la sostituzione del presidente dopo 180 giorni di assenza aveva già prorogato i poteri a Chavez assente, anche questa volta si è schierata con il suo partito, vietando il riconteggio dei voti. Anche il Consiglio nazionale elettorale (Cne) ha risposto all’unisono. «Stanno chiudendo tutti i canali per dialogare, nonostante l’opposizione abbia cercato da subito la strada dell’unità per il bene del Venezuela: Capriles dalla morte di Chavez non ha fatto che parlare di collaborazione e senza mai denigrare l’avversario gli ha solo ricordato i problemi presenti chiedendogli come intendeva affrontarli», racconta Perez.
LE MORTI. Dopo gli scontri di lunedì e la morte di sette persone, la gente voleva tornare in piazza. Per questo, mercoledì è intervenuta anche la Conferenza episcopale. I vescovi si sono proposti come garanti per facilitare il dialogo politico, ricordando la necessità di riconteggiare tutti i voti: «Questa sollecitudine – ha precisato l’episcopato venezuelano – non vuole disconoscere il lavoro del Cne, ma al contrario rafforzerebbe l’autorità morale dell’organismo dando al tempo stesso tranquillità alla popolazione». Ma la seconda e vera sorpresa di Capriles, sopratutto per chi non lo riconosceva un leader abbastanza forte per sconfiggere il chavismo, è giunta quando lui stesso ha deciso di rinunciare alla manifestazione davanti al Cne, dopo che il presidente eletto aveva annunciato l’intenzione di vietarla: «Poteva aizzare il popolo contro Maduro, andare allo scontro e invece ha messo l’interesse del paese davanti al suo. Non è così normale in Venezuela che un politico, dopo aver preso quasi la metta dei voti, agisca in questo modo e dopo 15 anni di prassi antidemocratica in cui la prima regola è infrangere le regole», continua Perez.
SENZA CONSENSI. Così, dall’annuncio di Capriles le proteste seguenti sono state del tutto pacifiche. L’altra svolta è interna al popolo chavista, e non solo in quello che per la prima volta ha votato per l’opposizione: la maggioranza, dopo i risultati elettorali, si sta chiedendo se davvero il chavismo possa vivere senza il suo leader. Giovedì il Cne ha accettato di ricontare i voti, ma stabilendo che il percorso non potrà essere immediato, ci vorranno 30 giorni per ottenere i risultati. Capriles ha accettato, e questo ha contribuito a calmare gli animi e a dare più tranquillità al paese. Ieri (veberdì 19 aprile, ndr) Maduro ha preso possesso del Governo: «Ma non sarà facile perché, a differenza di Chavez, Maduro non ha lo stesso carisma e nemmeno la maggioranza del popolo dalla sua parte».
DI COSA C’È BISOGNO. Intanto, però, «la gente prova rabbia e impotenza. Il paese è spaccato in due, l’esercito è diviso a metà, la politica pure. Capriles non è certo la speranza della mia vita, però l’ingiustizia è grande e bisogna cercare di combatterla. Davanti alla menzogna non possiamo tacere: penso alla gente uccisa in questi giorni, alla mancanza di cibo, al clima di repressione e terrore, all’impunità crescente», conclude Perez. Cosa fare oltre a raccontare la verità? «A chi lavora con me ho detto che occorre fare ancora meglio il proprio lavoro, aiutandoci a non gettare la spugna, è di questo che il paese ha bisogno più che mai».
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