
Venite a me, telespettatori oppressi
Che bello non essere nessuno, dice Antonio Socci citando Emily Dickinson e pensando alla sua trasmissione di Rai Due, Excalibur. Va così, eh? Maluccio, c’è da dire. Era bello non essere nessuno. O almeno, essere qualcuno nei giri buoni buoni, quelli che contano, quelli del bell’editoriale, della bella idea, della particolarissima laicità del supercredente Antonio Socci. Ma nessuno nel resto del mondo, il mondo del blob, dell’auditel, della polemicuccia schifaniana o giuliettiana. Ora anche Socci non è più soltanto uno splendido editorialista, uno da leggere e su cui ragionare, uno di quelli che anche a sinistra fanno talvolta dire: ecco una destra che potrei votare. Ora anche Socci è in groppa allo scalciante cavallino di viale Mazzini, ridotto ad aver a che fare coi numeri come un Frizzi qualsiasi, ridotto a ballare fra una dichiarazione di Gasparri e una controffensiva di Mussi. Deprimente, vero? E, altrettanto vero, Socci non è pentito: «No, non esageriamo – dice – il non pentimento dipende dal fatto che mi appassiona quello che voglio dire. Ho delle cose da fare e da dire. Pago e pagherò uno scotto, ma voglio andare avanti». La madonna di Medjugorje, il Papa, la Sindone. Sembra, a voler essere ammiratori (di Socci) molto cattivi, che egli, magari a corto di idee, sia partito da ciò che meglio maneggia. Lui ride: «Chi mi legge sa che semmai mi si può accusare del contrario, di essere troppo eclettico. Medjugorje voleva essere un pugno per la Tv che si è fatta sinora. Io voglio fare una Tv diversa, perché la vita è un’altra cosa, noi siamo un’altra cosa. Si vive barricandosi dietro la quantità di cose che diciamo e facciamo. Io vorrei che qualche volta si ragionasse per quello che siamo, vorrei provare a liberare quella piccola cosa che è il nostro Io e che ci ostiniamo a tenere sotto per lasciare spazio all’esibizione di sé, al teatro di sé. Vorrei che si provasse a prendere a pedate la tv che obbliga sempre allo strip tease dell’anima più fetente. E poi è così scandaloso pensare che Dio rimanga più importante di Cofferati?».
La Madonna? Fa notizia
Il Dio di cui parla Socci, in fondo molto laicamente, è il Dio di cui ha parlato, una volta, un direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli, che nel corso di una riunione di redazione sentì dire da un caporedattore, a proposito della Madonna sanguinante di Civitavecchia: «Che palle! Le solite stronzate». E Mieli – difficile crederlo un baciapile – lo rimproverò: «Sei tu che non hai capito niente. Io sono il primo a pensare che si tratti di una sciocchezza. Ma se per caso la notizia dovesse essere vera, sarebbe la notizia più importante del mondo». Socci dice: «Ecco, questo vorrei che fosse l’atteggiamento con cui si parla del mio lavoro, con un criterio giornalistico, con una lealtà intellettuale. Dopo ognuno ha il proprio percorso. Ma ognuno dovrebbe avere rispetto e curiosità». è questo il punto. Il sugo è che la vita non può ridursi allo svisceramento del Mattarellum o all’accapigliamento sulla devolution. C’è altro. C’è il dramma di un’umanità dalle ferite purulente che non ha più nemmeno il coraggio di porsi certe domande.
Socci difende a spada sguainata la sua puntata sul Papa in Parlamento, perché non s’è ridotta al battibecco sull’indulto (per quanto importante), e ha portato alla discussione una platea (Giuliano Ferrara, Antonio Polito, Pietrangelo Buttafuoco, Duccio Trombadori, Gian Enrico Rusconi) che non passa certo il tempo a menare il turibolo. «è un’eresia pensare che la vita non sia solamente uno sguardo accanito attraverso il buco della serratura della politica? Intendo dire la politica così come la maneggiamo noi oggi. Io la vorrei tenere più in disparte. Non dico che non sia importante, ma non è la cosa più importante. A me non piacciono tutti questi paragoni, questi confronti con la Tv che faceva Michele Santoro. Io speravo proprio li si potesse evitare. La faziosità, la destra, la sinistra… Mi auguravo non ci si buttasse in queste meschinerie. La differenze fra me e Santoro sono ben altre. Io penso che la politica non basti per capire il mondo. Questa è un’idea magari storica, nella sinistra. Io semplicemente non la condivido. E se guardo la programmazione, di trasmissioni così, su Raitre, per esempio, ce ne sono parecchie. Penso a Mannoni, penso a Deaglio, penso alla Gabanelli. Non sto minando il sistema televisivo. Voglio soltanto pensare che ci siano culture diverse, sensibilità diverse. Altre cose su cui fare i conti con se stessi. è un’eresia?». Che cosa è successo la sera della prima puntata di Excalibur? è successo che ridacchiando la gente diceva: Socci ha cominciato con Medjugorje. Ed è vero, lo si diceva con disprezzo, un disprezzo spesso in buonissima e dunque tristissima buona fede. «Ecco, non sopporto questo snobismo. Non sopporto questi cervelli lavativi che proprio non ce la fanno a mettersi a discutere di altro. Io sono un cattolico, ma ho studiato i testi del marxismo, semplicemente per capire. Perché un comunista, diciamo così per intenderci, deve trascurare a priori i testi di Sant’Agostino? Ci può essere un atteggiamento più sbagliato? Mi fanno una profonda tristezza quelli che non hanno nessuna curiosità per le altre culture».
Viva la tv dal pensiero forte
Ora non si può evitare di dire che si parlerà di molto altro. Excalibur è partito provocatoriamente dalla Sindone, ma sono parecchie le finestre che intende spalancare. Socci annuncia a Tempi una puntata che sarà «un inno alla scienza contro l’oscurantismo ideologico». Lui, dice, non farebbe mai un monumento a Marx, ma all’inventore della lavatrice. Sono loro, spiega, quelle che ci migliorano la vita. Dice che non si vuole curare dell’embargo dei Ds, i quali hanno manifestato il proposito di non accettare gli inviti di Socci. Dice che Excalibur è aperto a tutti, da Max D’Alema fino all’ultimo attivista della Quercia. «Se poi non gli va, mi dispiace, ma sono affari loro». Glielo vuole ricordare, Socci: «Io sono fazioso, io ho delle cose da dire. Io non sarò un arbitro asettico. Sono una parte, una parte in causa. E non rinuncerò al mio punto di vista. Ma questo non significherà prevaricare. La mia vuole essere una Tv in cui si discute, si discute anche di altro e in un altro modo. Spero che si capisca una cosa: da un Tv così, forse, abbiamo tutti da guadagnare».
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