Vent’anni dalla morte di Gianni Brera, inventore del catenaccio, della Padania e del Cavaliere

Di Daniele Ciacci
19 Dicembre 2012
La storia e l'opera di Gianni Brera, giornalista sportivo dalle incredibili risorse linguistiche ed inventive. Suoi i termini "Padania" e il soprannome "Cavaliere" per Silvio Berlusconi.

«Io sono padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po». Non sono le parole di un nostalgico leghista, è così che si definisce Gianni Brera, al secolo Giovanni Luigi Brera, scrittore e giornalista sportivo nonché inventore di larga parte del vocabolario adottato oggi quando si scrive di calcio: catenaccio, centrocampista, incornata, melina, goleador. Termini di comune utilizzo nel 2012, ma che all’epoca dimostravano la grande attenzione di Brera per il linguaggio, insieme a un’inventiva fuori dal comune impiegata negli ambiti più diversi. Se vi chiedevate chi ha coniato il soprannome “Cavaliere” per Silvio Berlusconi o chi ha inventato il toponimo “Padania”, ora sapete la risposta.

IN GUERRA SENZA MAI SPARARE. Gianni Brera nasce a San Zenone al Po, che all’epoca contava 1500 abitanti e oggi ne ha solo cinquecento. Un paesino sulle rive del fiume Olona, nella bassa pavese al confine con l’Emilia, sconosciuto ai più ma ricco di fecondi talenti: è di San Zenone al Po anche Gualtiero Marchesi, il più famoso chef al mondo. È un borgo capace di eccellenze quello che dà i natali a Gianni Brera, che dopo la laurea in Scienze politiche a Pavia si arruola nella Divisione Folgore come paracadutista e organizza un piano per sventare un attentato al traforo del Sempione. Si è sempre vantato, Gianni Brera, di non aver mai sparato ad un uomo per tutta la durata della seconda Guerra mondiale.

SIGARO TOSCANO SULLA TOMBA. Nel ’45 entra alla Gazzetta dello sport, fortemente voluto dall’allora direttore Bruno Roghi, al quale succede proprio il pavese nel ’49. Direttore del maggiore quotidiano sportivo a soli trent’anni, ha proseguito la sua carriera giornalistica collaborando con diverse testate. Si candiderà un paio di volte al Parlamento italiano, sostenendo la lista del partito Radicale. Una vita dedita alla scrittura e alla sua Lombardia, prima di morire nel ’92 in un incidente stradale tra Codogno e Casalpusterlengo. Sulla sua tomba, ogni mese, viene depositato come omaggio un sigaro toscano.

PIANARIVA. È stato anche un grande autore, Gianni Brera, e tutta la sua scrittura deriva per ispirazione dalla terra d’origine: le sterminate e nebbiose pianure della campagna pavese. Insieme ai racconti e alle biografie romanzate di ciclisti e calciatori, Brera si è dilettato pure nella narrativa di invenzione, con buoni risultati – benché di nicchia –. La “Trilogia di Pianariva” è l’opera principe di questo lombardo verace, che trae il nome da un paesino di fantasia accostabile al borgo natio. Ed è qui che si giocano le sorti di un popolo semplice, che cerca di sbarcare il lunario nella massacrata Italia del primo dopoguerra.

LE OPERE. Il corpo della ragassa, con cui si apre la trilogia, è un My fair lady nostrano. Tirisin è una bella ragazza abusata dal potente Ulderico Quadrio in cambio di un posto nella società che conta. Ma con le sue doti seduttive, la piccola Teresa saprà tenere al guinzaglio Ulderico, invertendo il rapporto di sottomissione. Non meno sanguigno è il secondo volume, Il vescovo e le animalesse. Tra il Po e l’Olona si trova un sinistro podere, la Speziana, dove il Male ha preso residenza. Il vescovo Rovati dovrà fronteggiare la pioggia di perversioni e di sacrilegi che la potenza distruttiva del demonio emana. Per concludere, La ballata del pugile suonato. Claudio Orsini e la sua lotta a colpi di ganci e diritti in una bassa percorsa da fascisti e partigiani.

@danieleciacci

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