Lettere al direttore

Vietato fare proposte?

Di Peppino Zola
20 Luglio 2023
Si diffonde l'idea che per rispettare la libertà altrui, non si possa o debba proporre più nulla. Ma i santi hanno sempre fatto l'opposto
Un gruppo di giovani all’ingresso di una scuola
Foto Ansa

Caro direttore, si sta aggirando per il mondo, compreso quella sua parte che chiamiamo “mondo cattolico”, un sorta di diavoletto che si nasconde sotto il manto di un angioletto. Esco dalla metafora, che peraltro rispecchia la realtà, per specificare ciò che voglio dire.

Sta girando l’opinione secondo la quale, se vogliamo essere veramente moderni secondo i canoni educativi sessantottini, gli adulti non devono più fare proposte, perché ogni proposta, proprio in quanto tale, lederebbe la libertà del destinatario della proposta stessa. Si cerca di nascondere questa stupidaggine (diabolica) sotto il manto “angelico” del rispetto dell’altro, configurando così una società del silenzio obbligato, nel quale ogni parola potrebbe essere interpretata come una proposta che offende. Se propongo ad un amico di andare a prendere un aperitivo, ledo la sua libertà? E la ledo anche se gli propongo di andare a teatro? O se gli manifesto il mio entusiasmo per un incontro fatto, anche se questo incontro rende felice la mia vita? In nome del rispetto angelico dell’altro, non potrei più dire nulla a nessuno, trasformando così il mondo intero in un inferno.

Questa assurda situazione poggia su basi razionali inesistenti: infatti, dovrebbe essere chiaro a tutti, e soprattutto agli educatori, che la proposta, lungi dall’offenderla, valorizza al massimo la libertà dell’altro, tanto è vero che l’altro può liberamente dire no alla proposta che gli faccio. Facendo una proposta valorizzo al massimo la possibilità di un altro mito di oggi racchiuso nella parola “dialogo”: se non posso più fare proposte metto fine ad ogni possibilità di dialogo. Le cose, quindi, stanno esattamente all’opposto di come il malefico diavoletto vorrebbe farci credere. Ma purtroppo questa opinione sbagliata sta già facendo i suoi terribili danni, innanzi tutto colpendo l’educazione. In base al demoniaco dogma di cui stiamo parlando, troppi hanno rinunciato ad educare, come appare sempre più evidente. Hanno rinunciato tante famiglie, che non hanno più il coraggio di porsi in modo propositivo con i propri figli, magari anche correggendoli (dove sono le madri che permettono, per esempio, alle proprie figlie di uscire di casa praticamente in mutande?). Hanno rinunciato tanti insegnanti, che si sono arresi e si limitano ad assistere bonariamente alle derive dei propri allievi, quasi fatalisticamente, come se non ci fosse più nulla da fare. E non vedo reazioni serie neppure di fronte ai frutti deleteri che si concretizzano drammaticamente ogni giorno. Molti dei disastri provocati da giovani e di cui si alimentano quotidianamente i vari telegiornali sono proprio il frutto di una mancata educazione, che si traduce nel rinunciare ad avanzare ogni tipo di proposta, compresa quella della correzione.

Occorrerebbe ricordare, cristianamente parlando, che tutti i grandi santi educatori generati dall’esperienza della Chiesa cattolica non hanno avuto paura di porsi con proposte chiare e provocatorie, anche perché non hanno avuto vergogna della verità portata da Cristo. San Giovanni Bosco ha fatto proposte decise e innovative ai giovani sbandati della sua epoca. Sant’Antonio Maria Zaccaria, fondatore dei Barnabiti, ha creato scuole per ridare ai giovani la possibilità di incontrare la proposta cristiana, al fine di rendere migliore la loro vita. San Filippo Neri fondò l’Oratorio per offrire un luogo in cui gustare una vita nuova. San Giovanni Battista de La Salle spese tutta la vita per fondare scuole cattoliche in molti Paesi d’Europa, sfidando anche i poteri civili che avrebbero voluto impedirglielo: e diede vita all’ordine dei Fratelli delle scuole cristiane. Santa Francesca Cabrini, con il suo cuore pieno di carità, fondò anche scuole per aiutare i giovani immigrati negli Stati Uniti ad affrontare dignitosamente la propria vita in un mondo che stentava ad accoglierli.

Ma tutti i santi hanno proposto per sé e per il mondo intero la sequela a Cristo. E per arrivare ai nostri tempi di contemporanei, nella Vita di don Giussani di Alberto Savorana, possiamo leggere la testimonianza del nostro “Servo di Dio” circa il suo primo giorno di insegnamento al liceo Berchet: «Me lo ricordo come fosse oggi: liceo Berchet, ore 9 del mattino del primo giorno di scuola, ottobre 1954. Mi ricordo il sentimento che avevo mentre salivo i pochi gradini d’entrata al liceo. Era l’ingenuità di un entusiasmo, di una baldanza, che mi aveva fatto lasciare la pur amata strada dell’insegnamento della teologia nel seminario diocesano di Venegono per poter aiutare i giovani a riscoprire i termini di una fede reale».

E Savorana aggiunge: «Questa notizia (la centralità di Cristo nella vita di ognuno, ndr) doveva raggiungere quei giovani, per la loro felicità». Cioè, don Giussani entrò al Berchet con il desiderio, pieno di amore, di proporre agli studenti l’ipotesi di vita costituita dalla presenza di Cristo e non per imporre alcunché, ma per indicare un metodo con cui affrontare seriamente la vita.

Avendolo avuto come insegnante di religione per 3 anni nella sezione E del liceo Berchet, posso testimoniare che don Giussani ha interessato tutti i miei compagni (indipendentemente dalla loro adesione a ciò che diceva) proprio perché la sua proposta era chiara e semplice. Don Giussani era ed è una proposta vivente. Del resto, quando, nel 1959, don Giussani sintetizzò una prima riflessione circa la sua esperienza nella conduzione di Gioventù Studentesca, così scrisse: «Il richiamo cristiano deve essere: deciso come gesto, elementare nella comunicazione, integrale nelle dimensioni, comunitario nella comunicazione» (Il cammino al vero è un’esperienza, SEI, pag. 5). Più chiaro di così non si può! Don Giussani indicava, fin dal primo inizio, le condizioni per rendere efficace e amorevole la proposta. La sua prima parola circa la sua esperienza pastorale fu una parola missionaria e cioè “il richiamo cristiano”. Proposta piena di amore e di discrezione, ma PROPOSTA!

Se poi andiamo a rileggere il Santo Vangelo, il tema della proposta diventa definitivamente chiaro. Gesù proponeva senza tentennamenti a dei pescatori di seguirlo (Matteo, 4,18-22): alcuni Gli dicevano di sì, altri, come il giovane ricco, Gli dicevano di no (Matteo 19, 16-22). Gesù mandava i discepoli in missione dicendo loro: «Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino» (Matteo, 10,7). Chiarissimo, poi, quello che Gesù dice: «Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze» (Matteo, 10,27). Dopo le Sua Risurrezione, il mandato di Gesù è chiarissimo: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Matteo, 28,19-20 e poi anche Marco,16). Chi ha incontrato Cristo nella Sua Chiesa non può non proporre ciò che gli è capitato. A meno che non si voglia a tutti i costi evitare il martirio e l’emarginazione prefigurati da Gesù per coloro che lo predicano e lo propongono. Ma questa è un’altra (triste) storia.

Peppino Zola

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