Vuoi la pace? Prepara la guerra

Di Lorenzo Albacete
14 Febbraio 2002
Usa verso un riarmo spettacolare e una determinazione senza precedenti a combattere quello che Bush ha definito “l’asse del male”. Forse ce lo siamo dimenticati, ma l’America ha dichiarato “non negoziabile” la difesa delle libertà personali e civili. Ce lo ricorda il nostro corrispondente ed editorialista del NYT. Che esce di rubrica per affrontare un interrogativo che determinerà il giudizio che la storia pronuncerà sull’Impero americano di Lorenzo Albacete

Il tempo che, la settimana scorsa, avrei dovuto impiegare a scrivere il presente articolo, l’ho trascorso a San Juan de Puerto Rico in visita ad alcuni amici. Ed è come se l’atmosfera caraibica, il caldo azzurro del mare, le palme, i ritmi del salsa e le spezie della cucina latina mi abbiano fatto dimenticare completamente dei miei cari amici e lettori di Tempi. Per questo sul numero scorso del settimanale non avete trovato il mio consueto articolo. Vi domando scusa. Oggi, però, mi trovo di nuovo a New York. Ho ripreso la mia consueta dieta che esclude la pasta, il riso, le patate e il pane; fuori cade dal cielo una pioggia gelida; in riva all’oceano sono stati posti segnali di pericolo a causa del forte vento; il monitoraggio del traffico cittadino calcola una media di un’ora di ritardo per quanto riguarda la percorrenza delle gallerie e dei ponti che, nei due sensi, collegano a Manhattan; e i residenti dell’isola stanno cercando di rammentarsi su quale lato della strada sia consentito parcheggiare domani a partire dalle 6 del mattino. È dunque ora di pensare al messaggio sullo stato dell’Unione pronunciato dal presidente Bush quasi due settimane fa, e che, ben oltre le considerazioni di natura puramente politica, si sta rivelando una meditazione religiosa, giacché proprio quelli religiosi continuano a essere i termini in cui i nordamericani pensano la propria nazione. (Per inciso, è appena uscito un nuovo libro interamente dedicato allo studio del Secondo discorso d’insediamento del presidente Abraham Lincoln, un discorso che fu proprio di questo tipo — religioso —, che da molti viene considerato addirittura uno dei discorsi più importanti della storia statunitense. Qualcuno lo definisce una “poesia”, altri un “sermone”. Lincoln lo pronunciò durante la Guerra Civile, quando la posta veramente in gioco era la sopravvivenza dell’Unione nordamericana. In buona sostanza, il discorso ha riguardato lo stato del popolo degli Stati Uniti di fronte a Dio).

Cosa non ha detto Bush

Questo è il tipo di discorso che il presidente Bush ha voluto svolgere due settimane fa, dovendo, per questo motivo, insistere sulla gravità dei pericoli che il popolo nordamericano si trova ad affrontare oggi, e proprio su questo registro egli ha insistito ripetutamente. Un mio amico che bene conosce il modo in cui alla Casa Bianca si costruiscono i discorsi di questo tipo mi ha detto di essere rimasto notevolmente colpito dal grado di allarmismo contenuto nel linguaggio usato dal presidente circa il pericolo rappresentato dalla rete terroristica internazionale. Stando a questo amico, il fattore più preoccupante è che il presidente avrebbe rivelato solamente il 10 per cento delle notizie in suo possesso relativamente alla vera entità di quel pericolo («Migliaia di pericolosi sicari, istruiti per uccidere, si trovano in questo momento sparsi per il mondo con bombe a orologeria, innescate per esplodere senza preavviso. Altre decine di migliaia di terroristi ben addestrati sono in attesa. E campi [per l’addestramento terroristico] continuano a esistere almeno in una dozzina di Paesi»). Il presiedente ha sostenuto che il motore di questo pericolo va ben aldilà di un contenzioso politico con gli Stati Uniti, ben oltre, insomma, il conflitto sociale, economico e culturale. Per Bush si tratta del “male”. Rispolverando la terminologia da seconda guerra mondiale, il presidente ha affermato che oggi gli Stati Uniti si trovano a fronteggiare “un Asse del male”. E in ballo, quindi, non è uno scontro di potere, ma un conflitto di natura morale. (Proprio questo è del resto stato il punto principale sollevato da Lincoln nel suo Secondo discorso d’insediamento, e questo pronunciamento di Bush mostra come sia ancora questo il modo più efficace per rivolgersi alla coscienza dell’interesse nazionale statunitense).

Pax americana

Il presidente ha quindi elencato quelli che i nordamericani dovrebbero considerare i pilastri della propria esistenza in quanto nazione, ovvero i valori che l’America deve incaricarsi di difendere di fronte al mondo. E non si tratta di valori esclusivamente statunitensi, ma di valori umani che tutti gli uomini sono in grado di riconoscere come corrispondenti ai desideri originari del cuore umano. E così, il presidente ha affermato: «Nessuna nazione ha il monopolio di queste aspirazioni e nessuna nazione ne è esente. Non abbiamo alcuna intenzione d’imporre la nostra cultura. Ma l’America si schiererà sempre dalla parte di queste non negoziabili esigenze di dignità umana: la sovranità del diritto, il rispetto delle donne, la proprietà privata, la libertà di espressione, una giustizia equa e la tolleranza religiosa». Verso la fine del discorso, il presidente ha chiesto il maggiore aumento nelle spese militari degli ultimi vent’anni, un incremento del 15 per cento che ammonta a più del doppio della spesa destinata al settore militare dall’Unione Europea. Il presidente si aspetta che per rendere possibile questo aumento il popolo statunitense sacrifichi altri vantaggi economici. Se la decisione passerà, la potenza militare nordamericana, già gigantesca, raggiungerà livelli mai visti nella storia umana. A questo punto, la grande domanda è se gli Stati Uniti useranno davvero questo enorme potere per perseguire la causa morale delineata dal presidente, o se in verità non vi siano in gioco altri interessi. La risposta a questo interrogativo determinerà il giudizio che la storia pronuncerà sull’Impero americano.

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