Wendy e Francesca

Di Anselma Dell'Olio
24 Marzo 1999
L’ospite/Dell’Olio

Quante notizie sull’universo femminile nelle ultime settimane! La sentenza della Cassazione sui jeans anti-stupro; le due ore di lavoro in più che costa un uomo in casa; Monica Lewinsky in persona in Tv e in libreria; Emma Bonino candidata per il Quirinale in una campagna all’americana; Elena Paciotti controcandidata della sinistra in una campagna tappa-Bonino; “La donna intera” nuovo libro di Germaine Greer che denuncia la decadenza femminista e riscopre il pancione; legge sull’aborto da rivedere perché la scienza permette la sopravvivenza ai neonati sempre più precoci; l’approvazione di un nuovo disegno di legge per asili-nido condominiali; riproposta la parità delle donne in politica per legge (le quote)…. e la lista potrebbe andare avanti.


Riflettendo su come far tornare tutti questi conti, quale filo di Arianna può aiutarci a trovare una strada in mezzo a sollecitazioni continue di segno opposto, viene in mente la figura, il pensiero e l’opera di Francesca Saverio Cabrini, santa patrona degli emigrati, imprenditrice, prima santa americana, e femminista di fatto. Nata nella campagna lombarda, la sua opera più grande l’ha compiuta nelle Americhe, soprattutto negli Stati Uniti. Lei amava molto quel paese per la sua libertà, per l’assenza di carte da bollo, di burocrazie, per l’incentivo e l’incoraggiamento che dava alla libera iniziativa, di cui lei è stata maestra. La sua era una politica del fare, costruire, realizzare, e non disdegnava gli aiuti che gli Stati in cui operava destinavano ad opere di pubblica assistenza come le sue. Ma non stava certo con le mani in mano aspettando queste elargizioni.

Dell’America alla Cabrini piaceva anche la nuova libertà di movimento di cui godevano le donne. Bisogna ricordare che lei è approdata negli Stati Uniti nel 1889 e vi è morta nel 1917. Nelle parole di Giuseppe Dall’Ongaro, autore di una bella biografia della santa (F. Cabrini, “La suora che conquistò l’America”, Rusconi 1982): “Le andava a genio anche che le donne, in America, cominciassero a mettere il naso fuori di casa. Da sempre – l’aveva detto, scritto e praticato – era convinta che la retta coscienza della fede rendesse la donna “non più schiava, ma eguale all’uomo”, “non più serva”, “non più oggetto di sdegno e di trastullo””. È da tenere a mente quella frase: “retta coscienza della fede”. Era moderna, pragmatica, visionaria la Cabrini. Penso che avrebbe molto apprezzato i nuovi studi sulla biologia femminile che dimostrano che la donna è sì fisicamente diversa, ma nient’affatto inferiore, e che se l’uomo era cacciatore, probabilmente lo era anche la sua compagna.

Non sognerei mai di manipolare il pensiero della Cabrini per strumentalizzazioni politiche o di alcun altro genere. Ma una che ha saputo sfidare lo statu quo senza farsi bloccare o annientare dalla reazione (in questo del tutto simile al suo amato modello Santa Teresa d’Avila, che ha navigato tra gli scogli appuntiti dell’Inquisizione, finendo in santità anziché in barbecue) non avrebbe potuto prendere una posizione sull’annosa questione delle quote meno che consona con il suo agire abituale. Penso che non avrebbe speso energie per cercare di imporre una eguaglianza artificiale, ma avrebbe fatto di tutto per raggiungere gli obiettivi aggirando gli ostacoli. Se poi le quote ci fossero state, ne avrebbe approfittato, se le sembravano utili, e senza falsi pudori. Ma bisogna anche dire che diffidava delle situazioni troppo facili. Diceva che nelle difficoltà si annida sempre la Grazia, e nelle cose troppo gratuitamente ottenute spesso si nascondono insidie tremende.


Il libro della ventitreenne Wendy Shalit che sta facendo molto rumore negli Stati Uniti, forse non sarebbe dispiaciuto alla Cabrini. Si chiama “Ritorno al pudore: scoperta di una virtù perduta”. Dopo un anno di “full immersion” nello scandalo sessuale intorno al presidente Clinton, l’America – e forse non solo l’America – sembra felice di contemplare una filosofia del ritegno, della discrezione, della buona creanza che parte dalle donne, le quali devono rispolverare l’arte di farsi rispettare con l’obiettivo di civilizzare gli uomini e spronarli ad adottare comportamenti di virile eleganza. La Shalit, una neo-conservatrice che incolpa il femminismo di aver spinto le donne ad abbracciare costumi spregiudicati, non sa di esser stata preceduta da un saggio femminista pubblicato nel 1970 dal titolo “La rivoluzione sessuale non era la nostra guerra” (The Ms. Reader, Warner paperback). Penso che la tesi di questa quasi ragazza sarebbe piaciuta alla suora santa non per fin troppo prevedibili ragioni morali, ma perché la Cabrini si è sempre battuta silenziosamente, ma concretamente, per l’autonomia e l’indipendenza del suo istituto. Non ha mai voluto che le sue missionarie diventassero ausiliari di ordini sacerdotali, o sottomesse a loro. Anche se era rispettosa delle gerarchie ecclesiastiche. Ma quello che la piccola Shalit oggi propone alle donne, di essere loro a dettare con duttilità le regole per una convivenza civile e rispettosa con i maschi, lo aveva già fatto Madre Cabrini cent’anni fa.

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