Willing Polonia
L’ europrimavera porta con sé una grossa novità: dal primo maggio altri 10 paesi entreranno nell’Unione Europea. Dei nuovi membri, otto sono stati comunisti fino allo sfaldamento dell’Unione Sovietica e della Jugoslavia. Il più importante di essi è sicuramente la Polonia, sia per la parte che con Solidarnosc ha recitato nel crollo dei regimi comunisti dell’Europa dell’Est, sia perché la sua popolazione (quasi 40 milioni di abitanti) conta da sola più della metà del totale dei futuri nuovi cittadini europei (75 milioni). I polacchi hanno ampiamente manifestato il loro entusiasmo per la prospettiva di entrare nella Ue: alla consultazione del 7 e 8 giugno 2003 si è espresso a favore dell’ingresso il 77,45% dei votanti (ha partecipato il 58,85% degli aventi diritto). Tuttavia la Polonia non sembra essere disposta a fare il docile fratello minore dei membri più potenti dell’Unione, abbassando il capo di fronte a qualsiasi decisione dell’asse franco-tedesco pur di acquistare un valido attestato di europeità. Al contrario, tenta di guadagnare peso all’interno del Consiglio – cioè là dove l’Europa prende le decisioni che potrebbero determinare le sorti del paese – proprio a discapito della “Vecchia Europa”. Nonostante nel 2003 abbia registrato una crescita del pil del 3,8%, la Polonia ha un tasso di disoccupazione attestato sul 18%, mentre molti lavoratori sono ancora impiegati in aziende di Stato (ferrovie, miniere di carbone) ormai vicine alla bancarotta e lo stipendio mensile medio viaggia sotto i 500 euro. Alla Conferenza intergovernativa di Roma in dicembre perciò la Polonia si è contrapposta decisamente a Germania e Francia sulla questione della rappresentatività in difesa degli accordi di Nizza, in base ai quali a Varsavia spetterebbero 27 voti come a Madrid, mentre Berlino, Parigi, Londra e Roma disporrebbero di 29 voti a testa. È chiaro che dopo l’amara delusione subìta nel dicembre 2002 – quando ai contadini polacchi (2,7 milioni, circa un quinto della forza lavoro nazionale) è stato assegnato un quarto dei sussidi Ue destinati ai concorrenti francesi e tedeschi – il governo polacco si è persuaso di aver bisogno di potere decisionale per difendere i propri interessi in Europa. Specialmente in vista dello stanziamento del budget per il periodo 2007-2013, che verrà discusso dopo l’allargamento.
La Polonia manifesta idee opposte a Francia e Germania anche in politica estera, a partire dall’ingresso nella Nato inseguito per anni e ottenuto nel 1999. Con la campagna anglo-americana in Irak questa differenza si è delineata chiaramente. Invece di assecondare l’antiamericanismo dell’Europa di Chirac e Schroeder, Varsavia ha preferito far parte della Coalition of the willing, firmando – con la Repubblica Ceca, la Gran Bretagna, l’Italia, la Romania, la Spagna, il Portogallo, l’Ungheria – la cosiddetta lettera degli Otto pubblicata il 30 gennaio 2003 dal Wall Street Journal e inviando 200 uomini dei reparti speciali in Irak a fianco della coalizione – tra l’altro per due terzi a spese di Washington, perciò è chiaro che l’appoggio fornito dalla Polonia all’operazione è stato più politico che militare. Gli Usa per parte loro non hanno tardato a far trasparire la loro gratitudine e l’interesse con cui guardano all’alleanza dei paesi europei ex comunisti: dall’inizio del settembre 2003 alla Polonia è stato affidato il controllo della Divisione multinazionale di stabilizzazione in Irak compresa tra Baghdad e Bassora. Inoltre a fronte dell’acquisto da parte dell’esercito polacco di 48 caccia F16 (per 3,5 miliardi di dollari), la Lockheed Martin si è impegnata a investire 6 miliardi di dollari per la difesa in Polonia. Intervento destinato ad accrescere la quota di investimenti diretti detenuta da aziende statunitensi nel paese: General Motors, Pepsico, Citibank, Philip Morris, International Papers sono da tempo sul territorio. Per non parlare degli appalti che gli imprenditori polacchi possono sperare di ottenere per la ricostruzione della Mesopotamia. L’alleanza con gli Usa però non implica per la Polonia solo vantaggi economici e autorevolezza politica. Per il governo di Leszek Miller essa comporta anche maggiore sicurezza nei rapporti con i paesi confinanti a est, Russia, Bielorussia e Ucraina, che continuano ad essere guardati con sospetto a causa della difficoltà con cui ancora dimostrano di avanzare nel processo di democratizzazione.
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