
«Non bisogna avere paura della “mafia della cancellazione” woke»

Negli ultimi anni la cosiddetta “cancel culture” è diventata popolare in tutto il mondo occidentale. Come spesso accade sono stati i nostri cugini di oltre oceano – Stati Uniti – ad accendere la miccia delle nuove tendenze culturali. Oggi la “cancel culture” domina le principali istituzioni culturali americane dove non sembra più possibile un confronto civile tra molteplici prospettive.
Il docente di jurisprudence dell’Università di Princeton e direttore del James Madison Program in American Ideals and Institutions, professor Robert P. George, è stato protagonista di importanti iniziative per contrastare il pensiero unico della “cancel culture”. Ne citiamo alcune: nel luglio 2020, insieme all’amico e collega Cornel West, professor of Philosophy and Christian Practice allo Union Theological Seminary e professore emerito alla Università di Princeton, scrisse un articolo per il Boston Globe dal titolo “Per unire un paese abbiamo bisogno di onestà e coraggio” (Robert P. George and Cornel West, “To unite the country, we need honesty and courage”, Boston Globe, 15 July 2020); nell’agosto dello stesso anno i due sono intervenuti nuovamente sul tema in occasione della discussione organizzata dalla Federalist Society, celebre organizzazione che raccoglie giuristi americani conservatori e libertari; lo scorso ottobre quando il Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha annullato la lezione di un collega per avere espresso la propria opinione sulle politiche di ammissione e assunzione universitarie americane, George lo ha invitato a Princeton.
Chiediamo pertanto al professor George di aiutarci a capire cosa sta succedendo negli Stati Uniti con la speranza di comprendere meglio cosa sta succedendo da noi in Europa.
Professor George, ci può raccontare l’origine dell’articolo scritto da lei e Cornel West e pubblicato sul Boston Globe? Qual è la sua storia?
Io e il professor West abbiamo scritto quell’articolo prima delle elezioni statunitensi del novembre 2020. La nostra preoccupazione era l’estrema polarizzazione ideologica del paese, e la ritirata delle persone appartenenti ad entrambi gli schieramenti in una sorta di tribalismo ideologico. Quando si tratta di pensare a questioni che riguardano il bene comune, la moralità, i diritti umani e la dignità umana è necessario pensare accuratamente non solo ai propri argomenti e alle proprie conclusioni ma anche a quelli che rappresentano altri punti di vista. Il proprio pensiero non dovrebbe essere solo il frutto di ciò che pensa il gruppo o la “tribù” di appartenenza. Questo non è pensare. Chiunque dovrebbe essere libero di criticare ad esempio il proprio partito se si ritiene che abbia commesso un errore su questioni fondamentali. Abbiamo richiamato persone sia di destra che di sinistra ad essere disponibili ad esaminare questioni importanti con onestà cioè non attraverso lenti ideologiche e ad avere il coraggio di dire la verità persino quando un tale atto significherebbe rinunciare alla propria “tribù”. Abbiamo denunciato e condannato la disonestà e l’ipocrisia odierne che attraversa gli schieramenti politici in questo paese. Ci stiamo impegnando in una campagna contro questo modo di pensare tribale.
Attenzione, questo non è difendere una posizione centrista, poiché anche questa posizione deve essere aperta allo stesso giudizio critico. Qui non si sta sostenendo il moderatismo ma la necessità di pensare criticamente e onestamente.
Ci può aiutare a spiegare ad un pubblico europeo qual è l’origine della “cancel culture” negli Stati Uniti e che cosa sta accadendo nei campus universitari?
Negli Stati Uniti le più prestigiose istituzioni educative e culturali sono dominate dalla sinistra e questa è una situazione che ormai dura da diversi decenni. Una generazione fa, la sinistra era liberal il che significa che la sinistra credeva nella difesa della libertà di parola e delle altre essenziali libertà civili di ogni persona, anche quando si trattasse dei loro avversari politici. Gran parte della sinistra oggi, tuttavia, ha abbandonato il liberalismo ed è diventata “woke”.
Negli ultimi dieci anni la sinistra ha abbandonato il suo impegno per le libertà civili – libertà di parola, libertà di pensiero, libertà di espressione, libertà di religione, libertà di dissentire dai dogmi imposti – per imporre una certa visione che ha assunto quasi il carattere di sacralità. Questo riguarda specialmente le questioni sociali come per esempio l’aborto, i diritti del nascituro, la sessualità o l’identità di genere. Su queste questioni, la sinistra “woke” non tollera alcuna espressione di dissenso. Così, se uno studente, un professore o chiunque provasse a sfidare le ortodossie della sinistra l’ideologia “woke” li infangherebbe e li diffamerebbe. L’obiettivo è quello di isolare la vittima e forzarla a subire delle conseguenze, come ad esempio la perdita del lavoro, cosa che fa sì che altri siano restii a esprimere un simile dissenso temendo che la stessa sorte possa ricadere su di loro. Questo è ciò che si intende con il termine “cancellation”. Si tratta di diffamare, isolare, ed escludere le persone, di tramutarle in emarginati sociali – come in passato lo erano i lebbrosi. La “cancel culture” è quindi una cultura in cui questo metodo di trattare le persone che esprimono opinioni dissenzienti diventa comunemente accettato.
Recentemente lei ha ospitato una lezione del professor Dorian Abbot, un illustre geofisico e professore associato dell’Università di Chicago, che doveva intervenire durante la prestigiosa John Carlson Lecture del Massachusetts Institute of Technology (Mit) lo scorso 26 ottobre. Mit cancellò l’intervento del professor Abbot per avere sostenuto politiche di ammissione e di assunzione accademiche basate su merito e qualifiche piuttosto che su criteri di diversità, equità ed inclusione. Perché ha deciso di ospitare la lezione del professor Abbot?
Ho deciso di ospitare la lezione del professor Abbot a Princeton perché ritengo che la resa di Mit a quella che chiamerei la “mafia della cancellazione” sia vergognoso. La scienza, il sapere più in generale, non può fiorire laddove le istituzioni educative sono politicizzate. La vergognosa decisione di Mit di cancellare l’intervento del dottor Abbot non ha niente a che fare con l’argomento della sua lezione o con la qualità della stessa o con i suoi traguardi accademici e conquiste intellettuali, motivo per cui Mit lo aveva invitato ad intervenire. Mit è capitolata di fronte alla pressione di persone che pretendevano la cancellazione della lezione di Abbot semplicemente perché non condividevano le sue concezioni politiche (concezioni che, tra l’altro, la maggior parte degli americani sostiene, come per esempio la concezione che nell’ammettere studenti o nell’assumere docenti universitari si debba giudicare candidati sulla base delle loro qualifiche e dei loro meriti). Non potevo permettere che la cattiva condotta di Mit non venisse messa in discussione. Ma era necessario che il torto commesso dai funzionari di Mit non solo verso un accademico, il dottor Abbot, ma contro il principio di libertà accademica venisse corretto. Inoltre, era necessario attirare l’attenzione pubblica sull’oltraggioso comportamento di Mit.
Non teme di subire anche lei delle conseguenze per avere invitato Abbot?
La risposta è no. I bulli sono codardi. Uno sconfigge un bullo affrontandolo. Ho imparato questa lezione quando ero un ragazzino nel cortile della mia scuola e non l’ho mai dimenticata. Così ho sfidato i bulli. E come previsto, la mafia che ha attaccato Abbot, e ha fatto pressione su Mit fino alla sua sottomissione, non ha neanche tentato di fare pressione su di me o sulla mia università. Loro sapevano molto bene che né io né Princeton avremmo ceduto. Tanto valeva che provassero a smuovere la Rocca di Gibilterra.
Durante la discussione tra lei e Cornel West organizzata dalla Federalist Society, lei ha detto che «noi abbiamo bisogno di tutelare giuridicamente e culturalmente le libertà civili che sono fondamentali tanto per il funzionamento della nostra democrazia quanto per poter dire la verità». Ci potrebbe spiegare che cosa intende quando parla del «bisogno di una tutela giuridica e culturale delle libertà civili»? Come possiamo oggi far sì che questo avvenga?
È necessario una tutela ferma, chiara e giuridicamente applicabile della libertà di parola nel nostro diritto pubblico, nelle procedure che regolano internamente le nostre istituzioni come le scuole e le università. Nella costituzione degli Stati Uniti, la tutela della libertà di parola (insieme alla libertà di stampa, religione e di assemblea) è racchiusa nel primo emendamento. Alcune università degli Stati Uniti, come Princeton, includono questo tipo di tutela nei propri statuti. Ma la legge e le forme di tutela giuridicamente applicabili, sebbene necessarie, non sono sufficienti. Oltre alle norme giuridiche c’è bisogno di un ampio e profondo supporto culturale alla libertà di parola. È necessario che figure di spicco della politica, del diritto, del mondo dell’educazione, del giornalismo, degli affari, e di altri campi difendano e facciano sentire la propria voce a sostegno della libertà di parola – in particolare della libertà di parola di coloro con cui sono in disaccordo. Oggi la sinistra “woke” controlla le principali istituzioni culturali del paese – scuole, università, mass media, le principali organizzazioni filantropiche e culturali, persino le grandi aziende multinazionali – e le persone, temendo di perdere il lavoro o di vedere la loro carriera rovinata, si autocensurano. È per questo che è importante incoraggiare le persone – specialmente gli studenti – a parlare liberamente e scoraggiarle dall’autocensurarsi. Nel contesto della “cancel culture”, l’autocensura è diventato un problema imponente. Compromette l’educazione incoraggiando i vizi del conformismo intellettuale e dell’acritico pensiero di gruppo. Abbiamo bisogno di chiarire agli studenti che non solo hanno il diritto di pensare per sé stessi e di parlare liberamente ma dobbiamo incoraggiarli a farlo. Un metodo chiave per accademici e insegnanti come me è mettere in pratica ciò che insegniamo. Laddove noi stessi non siamo d’accordo con i dogmi della cultura “woke”, come nel mio caso, noi dobbiamo coraggiosamente e pubblicamente esprimere il nostro dissenso ed affrontare chiunque provi a fare pressione su di noi per ridurci alla accondiscendenza o al silenzio.
Recentemente è stato annunciato che critici della “cancel culture” hanno fondato una nuova università in Texas, University of Austin. Come vede il futuro del mondo accademico? Il mondo universitario attuale garantisce ancora spazi dove sia possibile esercitare le proprie libertà fondamentali o sarà necessario creare nuovi spazi per tutelare e garantire queste libertà?
Auguro il meglio alla University of Austin. Penso che abbiamo bisogno di iniziative come questa. È stata fondata da ottime persone che credono nella libertà accademica e alla nobile causa della ricerca della verità. I critici di questa iniziativa affermano che questa sarà una università conservatrice per studenti e professori conservatori. La verità è che la maggioranza delle persone coinvolte in questo progetto non sono conservatori ma persone provenienti dalla sinistra e deluse da essa, e che hanno mantenuto l’originale impegno verso le libertà civili. C’è anche qualche conservatore ma sono per lo più una minoranza. Queste persone aspirano a creare una vera università socratica dove un robusto discorso civile è il motore che guida l’apprendimento. Io gli dico: «Bravi!». Si troveranno di fronte a diverse difficoltà? Certamente. Alcune saranno finanziarie. L’educazione universitaria è un bene costoso da offrire qui negli Stati Uniti. Quindi raccogliere fondi sarà una grossa sfida. Ma probabilmente ci saranno benefattori che sono entusiasti all’idea di vedere che il tipo di educazione che la University of Austin propone venga offerta agli studenti in ogni parte degli Stati Uniti. Se questo progetto avrà successo potrà certamente offrire un grande contributo alla vita intellettuale americana e un modello per altre università americane. La maggioranza delle nostre università si promuovono come luoghi in cui è possibile il confronto tra una molteplicità di prospettive. Il problema è che questa è una pubblicità ingannevole. In tantissimi casi c’è una ideologia dominante e coloro che non vi aderiscono vengono emarginati. Se la University of Austin avrà successo, questo potrebbe mettere pressione sulle altre università ad essere più coerenti all’immagine che dicono di promuovere. Pertanto spero che questa università avrà successo.
Foto Ansa
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