L’imbattibile convenienza del “woke capitalism”, la nuova gallina dalle uova d’oro (o meglio arcobaleno) delle multinazionali. Così qualunque campagna progressista può diventare occasione per fare profitti. Naturalmente nel nome dei diritti delle minoranze
“Credi in qualcosa anche se significa sacrificare tutto”, la celebre campagna Nike 2018 con Colin Kaepernick, il quarterback divenuto icona antirazzista per essersi inginocchiato allo stadio durante l’inno americano
Pubblicità per contrastare la mascolinità tossica, corsi per promuovere l’inclusione e la diversità e poi l’impegno per vincere qualsiasi tipo di stereotipo. Questi sono solo alcuni degli obiettivi del woke capitalism, una forma di capitalismo che, oltre al profitto, punta alla costruzione di una nuova società grazie alla diffusione dei valori progressisti. Con campagne di comunicazione verso l’esterno ma anche con corsi di formazione e specifici codici di comportamento rivolti ai dipendenti delle aziende.
Questa peculiare declinazione del capitalismo si è affermata negli ultimi anni negli Stati Uniti con un notevole aumento delle aziende impegnate in diverse battaglie identitarie, sociali e culturali. Il woke capitalism, con la sua missione di natura etica, ha modificato le forme di capitalismo e consumismo tradizionali semplicemente votate al profitto e all’accumulo. Con questa nuova forma di capitalismo, profitto e accumulo sono stati sapientemente nascosti, sostituiti da tematiche ...