Alfie. «Gli italiani ci hanno dato una lezione sui diritti umani»

Di Redazione
27 Aprile 2018
Alfie e lo Ius vitae (o della "originalità" italiana). L'articolo sul Catholic Herald, Eugenia Roccella su Avvenire e il Patriarca di Venezia Moraglia



Vale la pena segnalare tre articoli apparsi sulla stampa in questi giorni a proposito della vicenda di Alfie Evans. Il primo è stato pubblicato sul sito del giornale cattolico inglese Catholic Herald a firma di Alexander Lucie-Smith, il secondo è il discorso pronunciato dal Patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, e il terzo è una lettera di Eugenia Roccella pubblicata su Avvenire.
L’INTRANSIGENZA BRITANNICA. «Forse l’impegno del governo italiano per i diritti umani non ha ottenuto il riconoscimento che merita» scrive il Catholic Herald che cita il caso di Abdul Rahman, afghano condannato a morte per essersi convertito al cattolicesimo, accolto in asilo in Italia nel 2006 (governo Berlusconi). Poi cita anche il caso molto più famoso di Mariam Yahia Ibrahim Ishag (2014, governo Renzi). «Questi due casi (e potrebbero essercene molti altri che non conosciamo) – dice Alexander Lucie-Smith – ci offrono un contesto che ci aiuta a capire perché è stata concessa la cittadinanza italiana ad Alfie Evans e un ospedale gli ha offerto accoglienza a Roma. In sostanza papa Francesco ha chiesto al governo italiano di agire, e quello l’ha fatto, così come aveva accolto le precedenti richieste papali».
«Che cosa possiamo concludere?», si chiede l’autore. «Innanzitutto che il papato riserva un occhio di riguardo, e un altrettanto profondo impegno, verso i diritti umani, i quali, come tutti dovremmo sapere, trascendono i confini nazionali. Lo stesso vale per il governo italiano, sia esso di destra o di sinistra. Questo ci porta a una domanda difficile e dolorosa. Se il Papa e il governo italiano (al pari di altri) guardano al caso Alfie Evans in questo modo – come a un caso di diritti umani – perché il nostro governo e i nostri tribunali non riescono a vederlo allo stesso modo? I genitori chiedono soltanto di portare il proprio figlio all’estero per curarlo; è devastante il fatto che gli sia vietato farlo. L’intransigenza della giustizia britannica e una grossa fetta di opinione pubblica su questa vicenda fanno sembrare il nostro paese intollerante, sotto certi aspetti, quanto il Sudan e l’Afghanistan».
LA CIVILTÀ ITALIANA. A proposito di Alfie, monsignor Moraglia lo ha definito «“figlio nostro” e “figlio del mondo”. La vicenda è molto triste perché chiama in causa la civiltà e la cultura, il diritto e la giustizia, le istanze etiche attorno a cui si fonda la vita di un intero Paese, di molti popoli, di una nazione e di un intero continente – l’Europa – che purtroppo, ancora una volta, ci lascia profondamente delusi per come non riesce a trattare una questione delicatissima e così lancinante. L’Europa si spende per l’euro, per le banche, per i parametri economici… ma sembra continuare a balbettare in altri fondamentali ambiti».
«L’Italia – ha proseguito il Patriarca –, concedendo ad Alfie la cittadinanza e offrendo la disponibilità ad accoglierlo e curarlo in alcune nostre strutture ospedaliere d’eccellenza (il Bambino Gesù di Roma e il Gaslini di Genova), ancora una volta – come per il salvataggio di migliaia di uomini in mare – ha saputo e soprattutto voluto cantare fuori dal coro, mostrando in tale vicenda un’attenzione, una sensibilità e, in una parola, un’umanità che, in fondo, da sempre appartiene all’Italia, alla sua storia e alla sua cultura e che viene continuamente attestata da varie e attuali situazioni contingenti e strutturali».
Non che manchino «ambiguità e incoerenze» sottolinea Moraglia «ma in questi casi si è evidenziata un’incoraggiante “originalità” propria della cultura e della civiltà italiana, anche rispetto ad altri filoni di pensiero anglosassoni ed europei. Un’originalità di cui dovremmo andare umilmente fieri, non dimenticando di trascurarla e praticarla per il futuro».
ORGOGLIOSA DEL MIO PAESE. Nel proprio ragionamento su Avvenire, Roccella ha evidenziato che «lo ius vitae, il diritto a vivere, dovrebbe venire prima di ogni altro diritto, prima di ogni questione di cittadinanza o di nazionalità. È per questo che diamo lo status di rifugiato a chi in patria corre il rischio di essere perseguitato o ucciso, è per questo che la morte di tanti migranti in mare non può lasciarci indifferenti. È per questo, quindi, che non si può voltare la testa da un’altra parte, dire “non ci riguarda”, “non ci interessa perché non avviene a casa nostra”».
Per questo «intervenire è importante, schierarsi con chiarezza dalla parte del diritto a vivere è decisivo. Proprio perché abbiamo malauguratamente approvato quella legge, proprio per evitare che anche il nostro Paese imbocchi la stessa strada dell’Inghilterra, proprio perché non ci siano confusioni tra accanimento terapeutico ed eutanasia, oggi è giusto combattere per la vita di Alfie, e anch’io sono orgogliosa che il mio Paese lo stia facendo».
Foto Ansa

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