No, Parisi e Sala non sono uguali

Mariastella Gelmini, capolista di Forza Italia, spiega perché il centrodestra ha puntato sull’uomo giusto per sbrigliare le energie di Milano. E anche per sfidare Renzi. Intervista

Nella sede del comitato elettorale in via Valtellina c’è la classica “fibrilla” milanese. Mariastella Gelmini è costretta a rimbalzare l’intervista con Tempi: prima deve vedersela con l’ennesimo imprevisto dell’ultimo minuto. Uno qualsiasi. Ce ne saranno mille al giorno, di grane e contrattempi, in una campagna elettorale per una metropoli come Milano. Tanto più quando si tratta di restituire posizioni a un partito che solo cinque anni fa era ancora il primo in città.

Ecco. Forza Italia. Uno pensa a Forza Italia e gli viene in mente la Gelmini. È dalla discesa in campo di Berlusconi che l’avvocatessa bresciana milita nella compagine del Cavaliere. Sotto quel vessillo si è fatta tutta la trafila, dal Consiglio comunale di Desenzano fino al ministero dell’Istruzione. E adesso che di Forza Italia è ancora deputata, vicecapogruppo alla Camera e coordinatrice regionale in Lombardia, è tornata a far politica dal basso, come si usa dire. A «scarpinare», come dice lei. Capolista degli azzurri a Milano, la Gelmini sta girando palmo a palmo il capoluogo per far conoscere il volto e il programma di Stefano Parisi. L’intervista con Tempi è fissata un paio di giorni dopo l’incontro in cui Luigi Amicone ha annunciato le sue dimissioni da direttore del giornale per lanciarsi a sua volta in politica tra i forzisti. L’onorevole Gelmini procede a incastro millimetrico di appuntamento in appuntamento. E quando tocca a noi scatta l’impiccio. Non c’è tempo a sufficienza. Dice: «Facciamo l’intervista in macchina?». Tutti a bordo, si parte.

Come va la campagna elettorale? C’è aria di rimonta?
Con la discesa in campo di Stefano Parisi, il clima è molto cambiato.

E i milanesi?
I sondaggi parlano di una sostanziale parità tra Sala e Parisi. Ma soprattutto mi conforta la partecipazione. Con Parisi abbiamo lanciato la campagna #ascoltomilano: a partire dalle periferie, siamo stati in tutti i nove municipi della città, e a ogni tappa abbiamo avuto una partecipazione spontanea importante da parte dei cittadini. Sono stati incontri molto utili per costruire il programma, ci siamo trovati fra moltissime persone piene di delusione per la giunta uscente, perfino rabbia, ma anche con un alto tasso di civismo, perché accanto ai tanti problemi ci hanno indicato le soluzioni. La fiducia in Parisi cresce.

Perché sostenete che una vittoria a Milano sarebbe un «avviso di sfratto a Renzi», come ha detto Berlusconi alla presentazione della lista di Forza Italia?
A noi interessa Milano, non tanto il governo Renzi. Però a Parisi può riuscire anche un’azione di rigenerazione del centrodestra, di rilancio dei nostri contenuti, delle nostre proposte politiche, dei nostri valori. In questi anni Renzi si è avvantaggiato delle difficoltà del centrodestra. Nel momento in cui la nostra coalizione ritorna unita e con un programma forte per Milano, allora da Milano, la città che anticipa i cambiamenti del paese, può riprendere vigore un centrodestra capace di confrontarsi con Renzi a livello nazionale. Ma questo secondo me può succedere solo con un centrodestra a trazione moderata, non populista. Il ruolo di Forza Italia è centrale.

Si dice: Sala e Parisi sono uguali.
L’ho sentito dire spesso. Non condivido.

Anche secondo Lupi, però, Sala sarebbe stato un candidato «perfetto per il centrodestra».
Quando il sindaco era Letizia Moratti, Sala era di centrodestra; quando si trattava di ottenere la candidatura a sindaco dal capo del Pd, ha detto di essere renziano; poi alle primarie, per convincere la sinistra estrema, si è fatto fotografare col pugno chiuso. Più che un candidato perfetto per noi, mi pare un uomo buono per tutte le stagioni. Tra l’altro vive la campagna elettorale con fatica, la sua immagine si sta appannando. Parisi invece ogni giorno riesce a portare nella sua metà campo molti cittadini che non votavano più da tempo.

Secondo Repubblica, viste le fratture nel centrodestra in Italia, l’unità milanese regge solo grazie all’antirenzismo.
È un lettura fuorviante. Ricordo che il centrodestra governa unito in Lombardia, Liguria e Veneto, oltre che in tanti comuni che però fanno meno rumore di Roma. E dove governiamo, noi non ci occupiamo di Renzi, ma di sicurezza, pressione fiscale, famiglia, imprese. Noi non siamo antirenziani: siamo liberali, riformisti, cattolici e popolari, ecco la nostra matrice culturale. Suor Anna Monia Alfieri, all’incontro con Luigi Amicone al Palazzo delle Stelline, al quale ho partecipato con Parisi, ha detto che la politica deve recuperare umanità. È vero: prima che sui contenuti la nostra sfida è quella di “umanizzare” la politica, ridarle autorevolezza e dignità, ricostruire un rapporto di fiducia con i cittadini, far capire che la politica non è tutta sporca, ma esiste una politica al servizio di tutti.

Un bell’impegno per un manager.
La missione di Parisi è proprio questa: aprire gli steccati del centrodestra a tutti coloro che possono ricostruire con noi una squadra basata non sulla contrapposizione destra-sinistra, ma sul servizio ai cittadini, su un programma chiaro, su valori solidi. Sta richiamando all’impegno tante persone che dalla politica si tenevano alla larga. Penso allo stesso Amicone, a medici e scienziati come il professor Carruba della Statale e il professor Berra dell’Humanitas. Penso a volti della moda e del design come Ileana Turrini e Giovanni Accardi, o a Emilio Boccalini, rappresentante della categoria dei tassisti…

Già da ministro lei rispondeva ai contestatori della sua riforma che «oggi non ci si divide più fra destra e sinistra ma tra chi vuole cambiare e chi difende lo status quo». Era il 2008. Oggi la stessa argomentazione la utilizzano i dem per criticare la vostra decisione di votare no al referendum costituzionale di ottobre, di opporvi a un cambiamento che per altro è scaturito da un accordo tra Renzi e Berlusconi, il patto del Nazareno.
Credevamo fortemente in quel percorso di riforma condiviso, anche alla luce dei nostri errori: avevamo già tentato una riforma della Costituzione, e il mancato coinvolgimento dell’opposizione ne aveva determinato il tramonto. Berlusconi ha offerto a Renzi una disponibilità sincera e ampia sulla riforma. Renzi però ha voluto imporre modifiche unilaterali, si è allontanato molto dal metodo della condivisione, e infatti il ddl Boschi risente dell’interruzione di quel percorso. Noi siamo sempre stati favorevoli al superamento del bicameralismo perfetto, ma con la riforma del Pd non è stato abolito il Senato, è stato abolito il voto degli elettori. Poi c’è il rischio che vengano meno pesi e contrappesi e si configuri un premierato assoluto, lontanissimo dalla nostra visione. Neanche la ridefinizione del rapporto Stato-Regioni ci convince, perché non supera la conflittualità generata dalla riforma del Titolo V. Abbiamo perplessità sia sui contenuti sia sul metodo, per questo voteremo no alla riforma.

Non è che vi guida l’ossessione di mandare a casa Renzi?
Ma no, prima o poi in Italia ci saranno le elezioni, e saranno gli elettori a mandarlo a casa. Ci si è quasi fatta l’abitudine, ma questo governo è il terzo consecutivo non eletto dal popolo e noi continuiamo a pensare che sia un’anomalia. Comunque non sta a noi cacciarlo, il nostro compito è costruire un’alternativa credibile.

Tra gli obiettivi del patto del Nazareno c’era anche la mitologica riforma della giustizia. Forse era davvero l’occasione buona, visto che l’assalto giudiziario al Pd rischia di portare una parte della sinistra su posizioni tradizionalmente “berlusconiane”.
Certo, l’interruzione di quel patto ha conseguenze sia per il centrodestra che per il centrosinistra: così come non siamo riusciti noi a riformare la giustizia, non ci riuscirà nemmeno Renzi. Queste cose si portano a casa solo con il confronto e una condivisione ampia con l’opposizione: il confronto è venuto meno e la riforma della giustizia non ci sarà.

Ma lo vede anche lei l’accanimento di certe procure contro il Pd?
La stragrande maggioranza dei magistrati compie il proprio dovere con spirito di abnegazione, con serietà, senza inseguire la visibilità mediatica. Ma da parte di alcune toghe, con Berlusconi al governo, abbiamo assistito a un uso politico della giustizia e ad abusi sulle intercettazioni, fenomeni che proseguono anche adesso. L’errore del Pd è stato di approdare al garantismo con vent’anni di ritardo e di volere affrontare il problema della giustizia solo adesso che si è ritrovato coinvolto.

Torniamo a Milano. Il maggiore handicap di Sala?
Paradossalmente è proprio il suo maggior vantaggio: Expo. Anche se Milano non è stata coinvolta come avrebbe dovuto, la fiera è stata sicuramente un successo. Però la scarsa trasparenza sui conti e adesso il caso oscuro della possibile incandidabilità di Sala rischiano di trasformare la sua bandiera in una palla al piede. Sala avrebbe dovuto frapporre una distanza tra il ruolo di commissario Expo e quello di candidato. Ora l’uno rappresenta un’ombra per l’altro.

E un handicap di Parisi?
Tutti dicono che è la gestione della coalizione. Scommettono che si farà portare a spasso da Salvini. Invece io dico che Parisi, proprio perché ha le idee chiare e ha il carattere che ha, non si farà mettere i piedi in testa da nessuno. Quel sospetto lo sta già smontando nei fatti. Non ha esitato, per esempio, a criticare duramente una candidatura della lista della Lega, e sulle unioni civili ha annunciato che rispetterà la legge. Sta dimostrando autonomia. Non dalla Lega: da tutti i partiti.

Secondo tutte le agenzie internazionali, ci aspetta un’ondata migratoria senza precedenti. Un centrodestra a trazione moderata può pensare di affrontarla a colpi di slogan contro “l’invasione”?
La gestione dell’immigrazione è uno dei più gravi fallimenti della giunta Pisapia. Non hanno saputo pianificare, si sono limitati a gestire l’emergenza affidandola totalmente al terzo settore, che per fortuna a Milano è fortissimo e ha dato un grande aiuto. Ma dall’emergenza bisogna uscire, si deve ragionare su un problema che diventerà strutturale nei prossimi anni. Per questo Parisi ha chiesto un incontro con Pisapia e il prefetto: per condividere una proposta non emergenziale ma strutturale rispetto a un fenomeno che non va demonizzato ma va affrontato con piglio, rigore, rispetto delle regole. Senza scaricare tutto sul terzo settore.

Altro tema della campagna: le tasse di Pisapia. Lei stessa ha riconosciuto che prima degli aumenti delle imposte ci sono stati i tagli dei trasferimenti.
Sì, ma le tasse sono aumentate molto di più dei tagli: i trasferimenti sono stati ridotti di circa 200 milioni di euro, le tasse sono aumentate di 770 milioni.

E come si fa a tagliarle?
Bisogna trovare un equilibrio di bilancio diverso, non ci si può basare sempre sulle tasche dei cittadini o sulla creatività fiscale. Noi pensiamo che la macchina comunale possa costare meno, che si debbano eliminare sprechi e spesa improduttiva. Non è possibile proseguire così: siamo alla tassazione dei passi carrai. È inaccettabile.

A leggere certi giornali, sembra che Parisi dica: più cemento.
Non più cemento ma meno burocrazia e meno regolamentazione. Che significa sviluppo. Sviluppo compatibile con la tutela del verde e dell’ambiente, ovviamente. I regolamenti stabiliti da questa giunta rendono impossibile lavorare e fanno scappare gli investitori. Pisapia ha aggiunto alla tassazione nazionale una tassazione locale e alla burocrazia nazionale una burocrazia comunale. Noi vogliamo semplificare.

Lei ha promesso che resterà a Milano se sarà eletta. Ma è difficile crederci. Lei fa politica nazionale: starà a Roma.
No, vivo tra Milano e Roma ormai dal 2005 e la mia Brescia la vedo una domenica ogni tanto. Questa città la conosco, la sento mia, la amo. È una città libera, capace di senso critico, senza padroni, una città meritocratica che offre molte opportunità. Infatti non credo che la politica debba occupare Milano, e noi non dobbiamo “riconquistarla”: bisogna solo liberare le sue energie e potenzialità. Quanto a me, l’ho detto e lo ribadisco: se sarò eletta rimarrò in Consiglio comunale. Le persone, se lo riterranno, scriveranno “Gelmini” sulla scheda, e io quella fiducia non la voglio tradire.

All’incontro con Amicone lei ha assecondato l’idea di fare di Milano un modello di reale parità scolastica. Da ex ministro dell’Istruzione, crede davvero che sia possibile?
Quando eravamo al governo purtroppo non siamo riusciti ad affermare la piena parità e il costo standard, come avremmo voluto. A Milano pensiamo che si possa fare: con un po’ di collaborazione tra Comune e Regione possiamo potenziare la parità. Ma non lo faremo solo nell’interesse delle scuole paritarie, ma anche per garantire la piena attuazione del principio costituzionale della libertà di scelta educativa.

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