Simone: Lo sciopero della fame, i cani e la spending review

«Non mangiare a qualcosa serve: in 70 giorni di carcere ho già perso 10 chili». La carne di Pasquà, i doni del Cielo e due conti sul vitto dei galeotti. Ventesima (esilarante e drammatica) lettera dal carcere San Vittore

Ventesima lettera inviata a tempi.it da Antonio Simone, detenuto nel carcere di San Vittore a Milano. In coda trovate le precedenti missive.

Secondo giorno di sciopero della fame. Il cibo non ritirato è in corridoio. Ogni tanto, passa qualcuno, prende una pagnotta e sguscia via veloce tra gli sguardi incazzati dei detenuti. «Sono marocchini e non scioperano», è il commento. Intanto si discute sulle forme: «È sciopero solo rifiutare quel che ci viene dato dal carcere oppure bisogna proprio buttare fuori dalla cella tutto quello che vi viene portato anche dall’esterno?».
Altra questione: il peso. Solo quello può confermare che non stiamo mangiando, ma ancora oggi non ci viene data la possibilità di pesarci. Anzi, a sera, giunge la notizia che la dirigenza del carcere non condivide lo sciopero della fame, tanto che viene denominato “protesta generica contro il vitto”. Lo chiamano così perché vogliono tenere sotto traccia la protesta. Noi non mangiamo e non sappiamo nemmeno se questo possa servire. In realtà, a qualcosa serve: serve a mettersi in linea. Io, ad esempio, in settanta giorni di carcere ho già perso dieci chili.

La fame rende più frequenti le incazzature. Però, oggi, Pasquà, dopo 15 giorni di attesa, ha avuto un colloquio con la moglie e quella – che arrivava da Napoli – s’è presentata con un piatto di carne “alla genovese”. Siamo in sciopero della fame, che facciamo? Sono intervenuto: «Se Dio ce l’ha donata, guai a rifiutare un dono che viene dal Cielo».
Tutti si sono detti d’accordo con la mia interpretazione teologica.
Tuttavia, dato che non sarebbe stato giusto far barcollare la fede altrui, uno per uno ci siamo recati in bagno a mangiare un boccone di carne.

Vi vorrei mettere al corrente di un dato: il vitto giornaliero per ogni detenuto costa all’amministrazione pubblica qualcosa come 3,60 euro. Il vitto giornaliero per i cani che stanno nei canili municipali costa all’amministrazione pubblica 4,50 euro al giorno.
Se moltiplicate i 90 centesimi al giorno per i 70 mila detenuti italiani avrete un’idea di quanto noi – che siamo esseri umani e non cani – facciamo risparmiare al governo Monti. A questo punto speriamo che Enrico Bondi non ci includa nella spending review.

Antonio Simone

Lettere precedenti:

19. Sciopero della fame. Appello da San Vittore

18. Che me ne faccio del prete in carcere?

17. In carcere l’Italia gioca in trasferta e comandano gli albanesi

16. Leggo Repubblica solo per capire se posso chiedere i danni

15. La mia speranza (cosa disse don Giussani nel 1981)

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10. Gli scarafaggi, il basilico e l’urlo nella notte

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5. La rissa e l’evirazione. Storie di ordinaria follia a San Vittore

4. Io, nel pestaggio in carcere con cinghie e punteruoli

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1. Lettera dal carcere di Antonio Simone. Con una domanda a Repubblica

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